1 mag 2009
La festa simbolo dei lavoratori è americana, non comunista
Davide Giacalone
Pubblicato il giorno: 01/05/09
Primo maggio
Ecco un’altra ricorrenza, un’altra festa comandata della retorica, di cui s’è perso il significato e si sconosce l’origine storica. Anche oggi ci saranno cortei e comizi, ma soprattutto concerti. Ma a far ballare i giovani non è la musica, bensì un mercato del lavoro da cui, qui in Italia ed in un pezzo d’Europa, sono sempre più esclusi. Questi ragazzi non avranno il posto dei loro padri, in compenso devono pagare le loro pensioni. Ci vuol fantasia, per festeggiare.
Cominciamo con il solito imbroglio storico: la data si deve ad una legge dell’Illinois, Stati Uniti anno 1866, approvata il primo maggio. Stabiliva che la giornata lavorativa non poteva superare le otto ore. Gli americani erano assai avanti, in quanto a riconoscimento dei diritti dei lavoratori, e la Prima Internazionale (voluta da Marx) chiese che legislazioni simili fossero adottate anche in Europa.
Il 1° maggio rimase simbolico, anche perché, negli anni successivi, alcune manifestazioni di lavoratori, che festeggiavano la legge e ne reclamavano l’effettiva applicazione, finirono in scontri con molte vittime. Fu la Seconda Internazionale, al congresso di Parigi, nel 1889, a stabilire che quel giorno sarebbe stato celebrato in tutto il mondo, contemporaneamente. La seconda Internazionale era già comunista, e la terza la fondò Lenin, al Cremino, nel 1919. Fu così che la storia mise in atto uno dei suoi più feroci scherzi: la festa dei lavoratori nasce da una legge statunitense, ma diventa patrimonio dell’internazionale comunista, vale a dire di un mondo nemico dei lavoratori, dei loro diritti e della loro libertà.
Ancora adesso le bandiere sono quasi tutte rosse, in ossequio al conformismo decerebrato che accompagna gran parte della nostra narrazione pubblica. Vediamo se qualche numero riesce ad agitare le scatole craniche. I conti dell’Inps, per il 2009, sono in attivo (per 4,3 miliardi), talché può sembrare pretestuosa e petulante la continua richiesta di alzare l’età pensionabile. Se guardiamo dentro quei conti, però, scopriamo che tutte le gestioni pensionistiche sono in perdita, per un ammontare di 16,7 miliardi. In attivo ci sono solo due voci: il fondo dei lavoratori dipendenti (6,5 miliardi d’avanzo) e quello dei parasubordinati (9 miliardi). Le pensioni sono in perdita di 1,2 miliardi, ma non solo, perché le pensioni dei garantiti, compresi i dirigenti d’azienda, sono pagate con i soldi dei non garantiti, che taluni chiamano precari (termine fuorviante). A sanare i conti servono i 5,5 miliardi attivi delle prestazioni temporanee, vale a dire assegni familiari, cassa integrazione, sussidi di disoccupazione e pagamenti per i giorni di malattia.
Per le prestazioni temporanee, se la crisi continua, saranno dolori. Il fondo dei dipendenti sarà sempre meno in attivo e passerà al passivo, mano a mano che l’età media cresce, mentre quello dei parasubordinati resterà in attivo, perché è tutta gente che paga molto e non riceverà che lupini. Né, come anche autonomi e professionisti, possono sfuggire a tale sorte, perché la legge li obbliga a scucire, anche se non ne trarranno vantaggio. Solo per ragioni nominalistiche quest’obbligo non è contabilizzato nella fiscalità generale, talché la pressione fiscale reale, da noi, è più alta di quella, già vertiginosa, ufficiale. Con una differenza: io, che sono un libero professionista, pago l’Inps (non potendo fare diversamente), ma poi provvedo ad assicurarmi sulla salute e risparmiare per un fondo pensioni privato, chi, invece, subisce tutto il peso della poca elasticità nel mercato del lavoro, i parasubordinati, pagano e non resta loro un tallero per fare altro che sopravvivere.
Oggi li invitano in piazza per festeggiare, la fregatura e l’ingiustizia che subiscono. L’intero apparato della legislazione sul lavoro, invece, con le poche eccezioni delle cose pensate da Marco Biagi, è concepito per conservare le protezioni a chi le ha e, nella realtà, cresce il numero di quelli che vivono da esclusi. Ugo La Malfa disse che, se avesse avuto trenta anni di meno, avrebbe fondato il sindacato dei disoccupati, con questo sostenendo, già ai suoi tempi, che gli interessi di quei giovani non erano affatto rappresentati dai sindacati confederali. Neanche lui, che pure conosceva l’egoismo e le miserie politiche di certe maggioranze, aveva immaginato che avrebbero tolto loro i soldi per mantenere i lavoratori protetti, spesso dipendenti di società a loro volta finanziate con i soldi dello Stato.
Molti si sentiranno offesi da queste parole. Alcuni di loro scriveranno, naturalmente da anonimi e sgrammaticati, per immaginarmi servo di non si sa quali interessi. Nella gran parte sono fessi, per una quota sono disonesti, e per quel che basta pericolosi. Al loro fianco non festeggerei mai nulla, men che meno i lavoratori che non sono mai stati ed il lavoro che non hanno mai conosciuto.
www.davidegiacalone.it
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Ambra,
RispondiEliminaho un ricordo particolare, legato alla visione di quel quadro.
Anni fa, visitai il paese natio di Pellizza da Volpero; Volpedo, appunto, in provincia di Alessandria, vicino a Tortona, dove il pittore ha trascorso quasi tutta la propria esistenza, senza mai allontanarsene e aggirandosi sempre per quelle sue vie e viuzze.
Andai in visita, e quando giunsi sulla piazzetta dove Pellizza vi dipinse il celebre Quadro, fui preso da un attimo di mancamento, dovuto, probabilmente, ad un lieve attacco di quella che è chiamata sindrome di Stendhal. Il tutto è raccontato meglio in un mio post del maggio 2007.
Per quanto riguarda il testo dell'articolo di Giacalone, mi soffermo per ora alla frase finale, ben intuendone - con ciò - il contenuto complessivo del pezzo: "Al loro fianco non festeggerei mai nulla".
Al fianco dei festaioli della giornata odierna, anch'io non festeggerei un bel nulla.
Verissimo. Bravo!
RispondiEliminaAlessia