11 mag 2009

L'arcaismo del fondamentalismo islamico

L’economista algerino Rashid Mimouni, morto nel 1995, aveva scritto un breve ma aureo libretto, tradotto in italiano col titolo di “Dentro l’integralismo. La testimonianza di uno scrittore algerino” (Torino, Einaudi, 1996), in cui descrive il carattere irrazionale e dogmatico dell’integralismo algerino, di cui egli aveva testimonianza diretta, e la difficoltà da parte della società algerina di respingere tale dottrina.
Fra i capitoli dell’opera, quello iniziale, che fornisce l’inquadratura al testo nel suo complesso, si intitola significativamente “Arcaismo: il mondo sarà quel che era”. Si riportano qui, con breve commento, alcuni passi di questo capitolo.
Mimouni, dopo aver parlato della concezione arcaica e superata dell’economia quale si ritrova presso i fondamentalisti (proibizione del prestito ad interesse, riduzione della tassazione alla sola imposta personale sul reddito ecc.), spiega come l’ideologia integralista sia nel suo complesso una manifestazione di arcaismo, fondata sulla volontà di riportare l’Islam al suo modello paradigmatico di riferimento, l’Arabia di Maometto.
“L'ideologia integralista, nelle sue manifestazioni con­crete, mostra un identico arcaismo. I suoi proseliti si ac­caniscono sulla necessità di un ritorno alla purezza origi­nale dell'Islam. In questo senso, essi esaltano un modo di vita simile a quello che esisteva in Arabia nel VII secolo.”
Tale volontà di tornare indietro nel tempo viene applicata in maniera sistematica, anche in questioni apparentemente di poco conto:
“Si ostinano nell'imitare il Profeta anche nell'aspetto este­riore. Portano la barba come lui, si vestono allo stesso mo­do, e taluni dormono come faceva il Profeta, coricati sul fian­co, sulla nuda terra. Spalmano le loro palpebre di kh6l, per­ché questo prodotto di bellezza è anche un antisettico molto in uso in una regione dove imperversa il tracoma. Coloro che hanno la barba grigia, se la tingono utilizzando un pigmento di provenienza araba, e rifiutando le tinture moderne. Qual­siasi evoluzione che riguardi i costumi o le pratiche di vita di­venta sospetta di eresia.”
Le conseguenze di tale atteggiamento, nella loro irrazionalità e nel loro anacronismo, si manifestano subito, con esiti nefasti. Mimouni porta l’esempio, davvero paradossale, del calendario:
“Il calendario arabo è lunare. Il suo principale inconve­niente è che non corrisponde al ritmo delle stagioni, vale a dire alla rotazione della Terra intorno al Sole. L'anno lunare conta circa trecentocinquantacinque giorni. Ogni mese cosí arretra di dieci giorni a rotazione terrestre, sci­volando indietro dall'estate verso la primavera, poi dal­l'inverno verso l'autunno. Ma i nostri integralisti conti­nuano a rifiutare il calendario solare. Il loro atteggiamen­to diventa ridicolo a proposito del Kamadàn, il mese di di­giuno che i musulmani devono osservare ogni giorno, dall'alba al crepuscolo. La scienza astronomica consente da molto tempo di calcolare con molta precisione la data dell'apparizione della luna nuova, e di conseguenza l'ini­zio del mese sacro che vide il sorgere del primo versetto del Corano. C'è piú di un vantaggio nel poter stabilire in anticipo la prima e l'ultima giornata di astinenza, poiché gli orari di lavoro cambiano, come numerose altre abitu­dini, compreso il modo di consumazione dei cibi. Inoltre, la fine del Ramadan sfocia nell'Al-'id giornata festiva. Le amministrazioni e le imprese hanno bisogno di avvertire il personale del giorno di congedo e di adottare le dispo­sizioni del caso.”
E’ possibile da molti, moltissimi millenni calcolare con assoluta precisione il momento del passaggio al “novilunio”: vi riuscivano già i Sumeri, ed oggigiorno tale calcolo è persino ridicolo, rispetto al bagaglio di conoscenze astronomiche acquisite. Ciononostante, i fondamentalisti rifiutano la possibilità stessa di prevedere il momento del passaggio da un mese lunare ad un altro:
“Ma i nostri conservatori dogmatici si ostinano a rifiu­tare i calcoli della scienza che registra i movimenti dei pia­neti. Persistono nel volere constatare di persona l'appari­zione della luna crescente e rifiutano anche l'uso del tele­scopio. Continuano ad alzare il loro sguardo verso il cie­lo, anche se è coperto da nubi, e tutta la comunità musulmana attende l'oracolo fino a tarda ora nella notte. La stessa attesa si ripete alla fine del mese. Si contano ventinove o trenta giorni? L'indomani è festivo o no? […] Il nazionalista Boumedienne era riuscito a imporre da alcuni anni il calcolo astronomico. Ma fu costretto a re­trocedere sotto la pressione dei bigotti oscurantisti che so­stenevano come nella sua onnipotenza Dio avesse il dirit­to e il potere di sconvolgere l'universo con una decisione sovrana.”
La dottrina teologica islamica asserisce infatti la dottrina detta in Occidente della potentia Dei absoluta, solitamente rifiutata invece dal cattolicesimo e dall’Ortodossia, che invece accettano preferenzialmente la nozione, sostanzialmente derivata dalla filosofia greca, della potentia Dei ordinata. In termini semplicistici: per la prima interpretazione, Dio non è limitato dalle proprie stesse leggi, mentre per la seconda Dio rispetta la propria stessa volontà e non la modifica.
Sul piano concreto, tale rifiuto di calcolare il sorgere del nuovo mese apporta numerose complicazioni che apporta alla vita dei cittadini (l’Al’id è infatti giornata festiva e non lavorativa, con tutto quel che comporta).
“Il mese del Ramadan, in questo modo, cristallizza nume­rosi arcaismi.
Il testo decreta che è vietato bere e mangiare dall'alba al crepuscolo.
Che cos'è l'alba e che cosa il crepuscolo, se si ricusa il trat­tato di Copernico ?”
Inoltre, motivazioni politiche si mescolano all’asserzione della assoluta onnipotenza divina.
“Non mancano le complicazioni, poiché gli scrutatori della volta celeste vedono il nostro unico satellite attra­verso il filtro delle loro convinzioni. Ciò dà luogo a uno stridente paradosso per il quale taluni, per manifestare la loro opposizione al potere, ne facevano una questione d'o­nore nel rifiutarsi di vedere la falce di luna che altri ave­vano intravisto.”
Da parte mia, posso al momento aggiungere in provvisoria conclusione che il “fondamentalismo islamico”, pur nella varietà delle sue manifestazioni, è certamente, come scrive Mimouni, una costruzione basata sulla pretesa di “ritornare al passato”, cioè l’Arabia del VII secolo d. C., considerata modello di perfezione e purezza religiosa. In considerazione della natura della shar’ia, la legge islamica, e dei suoi stessi modelli interpretativi, si può ben dire che che gli integralisti islamici affermano in modo radicale quel che i “moderati” sostengono in misura più limitata: la differenza è più di “quantità” od “intensità”, che non di “qualità”.

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