Davide Giacalone
Pubblicato il giorno: 15/05/09
Linea dura
I guasti provocati dal buonismo un tanto al chilo sono enormi, compreso l’intestardirsi a descrivere razzista o xenofobo un popolo che non lo è. S’inzuppa tutto d’emotività e sentimentalismo, complici Napolitano ed il Vaticano, condannandosi all’incapacità d’affrontare un problema grave. Provo a rivoltare il luogocomunismo: gli immigrati, in Italia, (...)
(...) sono troppo pochi.
L’Australia ha una legislazione durissima, contro i clandestini, ma un lavoratore, regolare, ogni quattro è immigrato. Gli Stati Uniti sono assai severi, al confine con il Messico hanno tirato su un muro, ed hanno un lavoratore immigrato ogni sei. La Gran Bretagna considera reato l’ingresso irregolare, ma ha un lavoratore immigrato ogni nove. Da noi ti danno del razzista se ti permetti di dire che la legge devono rispettarla tutti, i bianchi, ma anche i gialli ed i neri, s’impressionano se sosteniamo che non possiamo accogliere tutti, s’illuminano di pretesa xenofobia se poni il problema, ma poi c’è solo un lavoratore immigrato ogni quindici. Ecco la formula: più chiarezza e severità portano più lavoratori regolari, mentre più lassismo e sanatorie portano più lavoratori in nero. Chi è xenofobo, chi li vuole in regola o chi li mette in mano alla criminalità?
L’imbroglioda smascherare
Se vogliamo parlare seriamente, allora, si deve denunciare un doppio imbroglio: quello di chi confonde gli emigranti con i richiedenti rifugio, che sono cose radicalmente diverse; e quello di chi confonde il blocco ai clandestini con il blocco agli immigrati. I duplici imbroglioni ottengono un risultato pessimo, perché inducono a credere che sia legittimo delinquere e mentire pur di entrare in Italia, il che fa crescere l’avversità verso un’orda di potenziali bugiardi e disonesti. La colpa non è dei tanti poveri disperati, ma dei nostri mestatori con la faccia pia, il cuore in mano e la disonestà nell’anima.
Sgomberiamo il campo dalla contro accusa: il governo di centro destra fa la faccia dell’armi perché siamo in campagna elettorale, ma è solo propaganda. Mettiamo che sia così. C’era un modo, serio, per contrastare questa iniziativa e consisteva nella tesi esposta da Pietro Fassino: i respingimenti li abbiamo preparati e voluti noi. Solo che qui lo abbiamo riconosciuto e ce ne siamo complimentati, mentre a sinistra lo hanno zittito.
Il presidente Napolitano, su un punto, ha ragione: in Italia le differenze di colore, etnia e religione sono aumentate. Segno che non siamo un Paese chiuso. Il rischio d’esclusione, che denuncia, però, lo corrono gli italiani più deboli. Dalla scuola, ad esempio. E questo capita perché abbiamo messo in atto, anche a cura dello stesso Napolitano, una non-politica dell’immigrazione, preoccupati del numero e non della qualità, obnubilati da pregiudizi di fratellanza ed accoglienza, poi pressati dalle necessità del sistema produttivo e delle famiglie, che hanno portato alle regolarizzazioni di quanti già erano da noi. Così facendo abbiamo importato tutta manodopera di basso livello, che paghiamo poco e che, conseguentemente, scarichiamo sui quartieri, le scuole, i presidi sanitari e gli italiani più in difficoltà. Una politica, insomma, concepita per coltivare la xenofobia.
I nostri difettivengono a galla
Quando, invece, arriva in Italia un ingegnere informatico indiano, da prendere all’università, gli rendiamo la vita impossibile, lo riempiamo di incombenze burocratiche e gli neghiamo il congiungimento con la famiglia. Non lo buttiamo fuori noi, se ne va lui. In questo modo facciamo scappare uno che avrebbe potuto far concorrenza ai privilegiati, preferendo lasciare in cattedra i raccomandati. Poi prendiamo un medico filippino, ne sfruttiamo la disperazione e gli facciamo fare le pulizie, da clandestino o semi-regolare, in concorrenza con i poveri. Chi è xenofobo, chi vorrebbe agevolare il primo o chi s’innamora del secondo?
Sull’immigrazione, quindi, vengono a galla i nostri difetti strutturali, con una giustizia da quinto mondo ed una credibilità statale da barzelletta. Ragionarci significherebbe individuare colpe e responsabilità, ecco perché preferiscono predicozzi e lacrimucce coccodrillesche.
www.davidegiacalone.it
Pubblicato il giorno: 15/05/09
Linea dura
I guasti provocati dal buonismo un tanto al chilo sono enormi, compreso l’intestardirsi a descrivere razzista o xenofobo un popolo che non lo è. S’inzuppa tutto d’emotività e sentimentalismo, complici Napolitano ed il Vaticano, condannandosi all’incapacità d’affrontare un problema grave. Provo a rivoltare il luogocomunismo: gli immigrati, in Italia, (...)
(...) sono troppo pochi.
L’Australia ha una legislazione durissima, contro i clandestini, ma un lavoratore, regolare, ogni quattro è immigrato. Gli Stati Uniti sono assai severi, al confine con il Messico hanno tirato su un muro, ed hanno un lavoratore immigrato ogni sei. La Gran Bretagna considera reato l’ingresso irregolare, ma ha un lavoratore immigrato ogni nove. Da noi ti danno del razzista se ti permetti di dire che la legge devono rispettarla tutti, i bianchi, ma anche i gialli ed i neri, s’impressionano se sosteniamo che non possiamo accogliere tutti, s’illuminano di pretesa xenofobia se poni il problema, ma poi c’è solo un lavoratore immigrato ogni quindici. Ecco la formula: più chiarezza e severità portano più lavoratori regolari, mentre più lassismo e sanatorie portano più lavoratori in nero. Chi è xenofobo, chi li vuole in regola o chi li mette in mano alla criminalità?
L’imbroglioda smascherare
Se vogliamo parlare seriamente, allora, si deve denunciare un doppio imbroglio: quello di chi confonde gli emigranti con i richiedenti rifugio, che sono cose radicalmente diverse; e quello di chi confonde il blocco ai clandestini con il blocco agli immigrati. I duplici imbroglioni ottengono un risultato pessimo, perché inducono a credere che sia legittimo delinquere e mentire pur di entrare in Italia, il che fa crescere l’avversità verso un’orda di potenziali bugiardi e disonesti. La colpa non è dei tanti poveri disperati, ma dei nostri mestatori con la faccia pia, il cuore in mano e la disonestà nell’anima.
Sgomberiamo il campo dalla contro accusa: il governo di centro destra fa la faccia dell’armi perché siamo in campagna elettorale, ma è solo propaganda. Mettiamo che sia così. C’era un modo, serio, per contrastare questa iniziativa e consisteva nella tesi esposta da Pietro Fassino: i respingimenti li abbiamo preparati e voluti noi. Solo che qui lo abbiamo riconosciuto e ce ne siamo complimentati, mentre a sinistra lo hanno zittito.
Il presidente Napolitano, su un punto, ha ragione: in Italia le differenze di colore, etnia e religione sono aumentate. Segno che non siamo un Paese chiuso. Il rischio d’esclusione, che denuncia, però, lo corrono gli italiani più deboli. Dalla scuola, ad esempio. E questo capita perché abbiamo messo in atto, anche a cura dello stesso Napolitano, una non-politica dell’immigrazione, preoccupati del numero e non della qualità, obnubilati da pregiudizi di fratellanza ed accoglienza, poi pressati dalle necessità del sistema produttivo e delle famiglie, che hanno portato alle regolarizzazioni di quanti già erano da noi. Così facendo abbiamo importato tutta manodopera di basso livello, che paghiamo poco e che, conseguentemente, scarichiamo sui quartieri, le scuole, i presidi sanitari e gli italiani più in difficoltà. Una politica, insomma, concepita per coltivare la xenofobia.
I nostri difettivengono a galla
Quando, invece, arriva in Italia un ingegnere informatico indiano, da prendere all’università, gli rendiamo la vita impossibile, lo riempiamo di incombenze burocratiche e gli neghiamo il congiungimento con la famiglia. Non lo buttiamo fuori noi, se ne va lui. In questo modo facciamo scappare uno che avrebbe potuto far concorrenza ai privilegiati, preferendo lasciare in cattedra i raccomandati. Poi prendiamo un medico filippino, ne sfruttiamo la disperazione e gli facciamo fare le pulizie, da clandestino o semi-regolare, in concorrenza con i poveri. Chi è xenofobo, chi vorrebbe agevolare il primo o chi s’innamora del secondo?
Sull’immigrazione, quindi, vengono a galla i nostri difetti strutturali, con una giustizia da quinto mondo ed una credibilità statale da barzelletta. Ragionarci significherebbe individuare colpe e responsabilità, ecco perché preferiscono predicozzi e lacrimucce coccodrillesche.
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