30 apr 2009

Euro-parlamentari Italiani

Il giornalista Alessandro Caprettini ha scritto un libro, intitolato “L’eurocasta italiana”, nel quale è contenuto un ritratto impietoso dei parlamentari italiani eletti a Strasburgo, indifferentemente dall’appartenenza partitica.
Una prima considerazione riguarda gli stipendi, in quanto gli eurodeputati italiani sono i più pagati dell’Unione. Questa condizione deriva dalla situazione nazionale, dato che finora i paesi Ue fornivano agli eurodeputati lo stesso trattamento dei rispettivi parlamentari nazionali. Fortunatamente il nuovo statuto parlamentare prevede dalla legislatura che inizierà a luglio un trattamento economico uguale per tutti, però è possibile che si faccia ricorso ad un regime transitorio, che durerebbe per altri due mandati: in questa eventualità, gli Italiani continueranno a versare somme enormi ai propri “onorevoli” del parlamento europeo.
Una seconda osservazione s’incentra sui comportamenti disonesti e truffaldini tenuti da numerosi parlamentari d’Italia, a cominciare dalla pratica di fare “cresta” sui rimborsi dei biglietti aerei. Approfittando del sistema in uso al Parlamento europeo, che prevedeva un rimborso calcolato in base alla distanza e alle più alte tariffe praticate dalle compagnie, per anni gli eurodeputati hanno viaggiato in classse economica incassando però una cifra più alta, quella spettante per la business class. Questo è soltanto uno degli esempi, fra i molti riportati da Caprettini, del malcostume degli “eletti”.
Però, ciò sui questo giornalista costruisce il suo libro è lo scarso spessore politico degli “euro-parlamentari” italiani. Secondo quanto ricostruito da Caprettini, una prima analisi della legislatura 2001-2004 (prima dell’allargamento dell’Unione a est) relegava gli italiani in fondo alla classifica dei 15 paesi Ue con appena il 68,64 per cento di presenze: i deputati d’Italia sono in assoluto i meno presenti.
Ancora, la loro attività è non solo quantitativamente, ma anche e soprattutto qualitativamente insufficiente al ruolo designato. Scrive Caprettini “Da 30 anni non si ottiene più la presidenza, ma nemmeno si parla di un italiano come possibile candidato, se si esclude l’ipotesi che riguardava l’ex sindaco di Bologna Renzo Imbeni”.Persino le lingue straniere sono largamente sconosciute: “I nostri eletti fanno ben poco per imparare una lingua straniera e sono quindi in somma difficoltà non solo in aula o nei lavori in commissione ma anche di fronte a giornalisti stranieri e ai lobbisti, sempre presenti in gran numero”.
Non sorprende quindi che gli onorevoli Italiani siano incapaci di “fare lobby” e di difendere efficacemente gli interessi del proprio paese, con grave danno per l’Italia. Altri due limiti devono essere riscontrati nei deputati di Strasburgo provenienti dall’Italia: propensione a cambiare gruppo parlamentare ed alleanza, nonché tendenza ad abbandonare le istituzioni UE qualora si prospettino incarichi più importanti altrove. Quest’ultimo atteggiamento è quello che Caprettini definisce quale la “sindrome Malfatti”: non appena si presenta l’occasione, gli europarlamentari abbandonano le istituzioni Ue, come fece Franco Maria Malfatti, scelto nel 1970 come presidente della Commissione delle Comunità economiche europee, che lasciò dopo neppure due anni di mandato in vista delle elezioni politiche del maggio 1972.
Il libro di Caprettini è attuale anche riguardo ala composizione delle liste di canditati, e non risparmia nessun partito. “C’è un altro dato che può spiegare lo scarso apprezzamento: la poca familiarità con l’istituzione europea”. Nell’ultimo voto del 2004, per esempio, oltre ai soliti politici più o meno di professione l’Italia ha privilegiato atleti, cantanti e personaggi televisivi, mentre negli altri paesi predominavano alti funzionari, militari, cattedratici ecc., ossia persone con una competenza specifica applicabile a determinati settori della vita politicaRicorda il nostro autore: “Nella Penisola invocavano la preferenza, a sinistra, l’anchorwoman del Tg1 Lilli Gruber e con lei Michele Santoro e il disegnatore Vauro. A destra si replicava con Iva Zanicchi, Marcella Bella, Alessandro Cecchi Paone, Solvi Stubing, nota per essere la protagonista dello spot “Chiamami Peroni”, l’ex fondista azzurra Manuela Di Centa e persino l’attrice Clarissa Burt… Da noi la caccia alla preferenza punta a imbarcare veline e calciatori”. Caprettini continua: “Se a Bruxelles e a Strasburgo porti soubrette, politici bolliti o capetti di bande corporative, è logico che si finisca tagliati fuori dai giochi”.Senza cadere nelle assurde polemiche promosse contro il marito dalla ex attrice divenuta moglie di Berlusconi, e riprese pretestuosamente dalla sinistra italiana, e senza ritenere a priori che determinati personaggi siano politicamente incapaci, resta comunque l’interrogativo se i partiti italiani, nella scelta delle candidature per Strasburgo, non si facciano condizionare eccessivamente dalla ricerca dell’impatto propagandistico e pubblicitario dei candidati, anziché dalle loro capacità effettive. A detta di Caprettini, certe scelte discutibili possono contribuire a spiegare come il valore medio degli euro-deputati Italiani piuttosto basso.

29 apr 2009

DA INFORMAZIONE CORRETTA

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 29/04/2009, a pag. 16, l'analisi di Fiamma Nirenstein dal titolo " Israele? Per i suoi nemici non è uno Stato ebraico ".

Oggi compie 61 anni, ancora non lo vogliono chiamare per nome e dicono che non aveva diritto a nascere. Ha perso 22.570 soldati in guerra, 3.000 cittadini in attentati terroristici, ma la popolazione non ha abbandonato le case di pietra, i vicoli, i ristoranti di Gerusalemme, né sono rimasti spopolati spiagge e pub di Tel Aviv; nessuno ha smesso di frequentare le scuole o le università; l’high-tech è fra le prime, la musica della Filarmonica fra le più apprezzate del mondo, la medicina, la fisica, l’agricoltura producono premi Nobel, l’Alta Corte è un esempio di correttezza. Eppure, secondo alcuni, a 61 anni lo Stato ebraico è lì per caso, paracadutato in un’area con cui non ha niente a che fare, solo per realizzare un vasto disegno colonialista e razzista, oppure, secondo altri, è stato edificato per riparare ai sensi di colpa degli Europei dopo la Shoah, che per altro non è esistita. Insomma, deve sparire: lo dicono Ahmadinejad, Hamas, gli Hezbollah, e altri lo pensano. Ad Abu Mazen, Netanyahu propone di ricominciare a discutere su «due Stati per due popoli» purché il rais riconosca Israele come Stato Ebraico, ma egli ha ripetuto anche lunedì che non accetta, e il motivo è evidente: non vuole permettere che ciò diventi un ostacolo per il «diritto al ritorno» o per l’idea di Israele come «Stato dei suoi cittadini». Arafat a Camp David rifiutò la Spianata delle Moschee pur di non riconoscere quella che è un’affermata verità storica registrata in tanti testi musulmani, ovvero che sotto la Spianata giacciono le memorie del Grande Tempio ebraico di Erode distrutto nel 70 d.c. dai Romani.
Il popolo ebraico mise le sue radici in Israele più di 4000 anni fa, il re David ne unificò le dodici tribù e fece di Gerusalemme la città ebraica per eccellenza, mai abbandonata del tutto anche in tempi di letali persecuzioni. Nell’Ottocento (ben prima della Shoah) gli ebrei tornarono ad esservi maggioranza. Intanto, quale che fosse il signore del tempo, crociati, arabi, ottomani, anche Tiberiade, Rafah, Gaza, Ashkelon, Jaffa, Cesarea, Safed, Haifa, Nablus, videro sempre, nei secoli, gruppi di ebrei attaccati alle loro pietre. Un popolo con la sua lingua e le sue usanze a casa e nella grande diaspora. Nella diaspora nacque il sionismo, il movimento che ha riportato gli ebrei a casa.
È nell’Ottocento e nei primi anni del Novecento (Tel Aviv fu fondata nel 1909) e non dopo la Shoah che il sionismo si organizza, si fonda l’Università di Gerusalemme, la Filarmonica di Tel Aviv, si muore di malaria bonificando le paludi, si fonda la scuola d’Arte Betzalel di Gerusalemme, Toscanini dirige la Filarmonica di Tel Aviv, si organizza l’immigrazione clandestina nonostante un’opposizione europea (altro che sensi di colpa!) che affonda o respinge le navi che portano i profughi anche durante la Shoah... Gli ebrei vivono la loro storia di irredentismo come tanti altri popoli, e nel 1917 la dichiarazione Balfour è il primo documento che riconosce il loro diritto all’autodeterminazione. Lontano dalla Shoah. E Churchill diceva che nessun popolo come quello ebraico è legato alla Palestina. Anche l’immagine dell’arabo ignaro penalizzato dall’imperialismo, è falsa: basta pensare a Haj Amin Al Hussein, leader palestinese amico molto attivo di Hitler, ai nazisti nascosti in Egitto, all’odio antisemita che mise in fuga dai Paesi arabi 800mila ebrei. Essi trovarono un approdo appunto, nello Stato ebraico. È interessante: quelli che lo negano, paradossalmente, creano l’evidente indispensabilità della sua esistenza.

www.fiammanirenstein.com

27 apr 2009

Il 25 aprile di Berlusconi

Il Cav cambia il 25 aprile e ne fa la festa della libertà di tutti

di
Gaetano Quagliariello
27 Aprile 2009

L’antifascismo fu implicitamente proclamato religione civile ufficiale della nazione nel 1960, quando la DC approdò sul terreno imposto dal Pci: accettò di considerare il governo Tambroni potenzialmente golpista, e insieme ai comunisti caricò la convocazione di un congresso dell’Msi a Genova - città martire della Resistenza - di significati simbolici che andavano ben oltre le reali intenzioni degli organizzatori.

Quell'antifascismo, simbolicamente festeggiato da allora e ogni anno il 25 aprile, è finito sabato a Onna. Berlusconi, col suo discorso, non si è arreso alla “vulgata”, come l’avrebbe definita Renzo De Felice. Ha pacificato la memoria e ha provato a dettare una versione dei fatti più storica e, per questo, più inclusiva.

La memoria, si sa, è selettiva. Per forza di cose divide. Privilegia un punto di vista e spesso sgorga impetuosa da una presunzione di buona fede personale, in nome della quale si pretende di avere ragione al cospetto del tribunale della storia. Erano in buona fede la gran parte dei ragazzi di Salò. Erano in buona fede tantissimi partigiani che, oltre alla liberazione del Paese, ambivano a sostituire la dittatura sconfitta con un totalitarismo peggiore, che essi però ritenevano - sempre in buona fede - portatore di giustizia e di pace sociale. A nessuno deve essere negata l’umana comprensione. Ma a entrambi la storia ha dato torto. Un torto differente che va indagato e precisato, sfuggendo alle automatiche equivalenze.

Dalla memoria alla storia: questo è il passaggio che si è compiuto il 25 aprile in Abruzzo. Il premier, infatti, ha concesso alla memoria tutti i suoi diritti, muovendo dai suoi personali ricordi. Poi, però, li ha ricompresi in un affresco più ampio, perché solo così essi possono perdere la loro forza particolare per accettare di divenire tessere di un patrimonio condiviso dell’intera nazione.

Già nel recente passato uomini politici e capi di Stato avevano contribuito ad “allargare il discorso” sottolineando, ad esempio, l’importanza del sentimento patriottico nella Resistenza o il ruolo dell’esercito. Sabato Berlusconi è andato oltre. Rispetto alla “vulgata”, il suo discorso ha inserito almeno tre elementi di novità, in realtà già da tempo accertati dalle indagini storiche ma non per questo ricompresi nel discorso ufficiale.

Ha consacrato il ruolo decisivo degli alleati, e innanzi tutto degli americani: piaccia o non piaccia, senza il loro apporto il sacrificio di tanti partigiani sarebbe stato vano.

Ha evidenziato come le difficoltà degli anni successivi alla liberazione furono dovute, in gran parte, alla mancanza delle condizioni storiche che consentissero alla categoria dell’antifascismo di divenire parte della più ampia categoria dell’antitotalitarismo.

E infine, accanto agli atti eroici e ai sacrifici più nobili ha collocato quegli episodi di umana pietà, di carità individuale maturati spesso in quella zona grigia che si sviluppò lontano dal fervore ideologico e nella quale la Chiesa svolse un ruolo troppo spesso dimenticato e a volte negletto.

Insomma: Berlusconi si è prefisso di rinnovare la tradizione, chiudendo i conti con il passato e fornendo gli elementi affinché essa non si consumi progressivamente e, per questo, possa essere compresa e coltivata dalle nuove generazioni.

Passare dalla festa della liberazione alla festa della libertà: la si può pensare come si vuole, ma non si può negare che si tratti, in potenza, di una ambiziosa operazione culturale. Di fronte alla sua grandezza le recriminazioni di Franceschini appaiono, in piena luce, quel che sono: tentativi ostruzionistici tanto pretestuosi e privi di sostanza da scadere nell’irrilevanza.

25 apr 2009

La democrazia liberale più che alla Resistenza deve tutto a De Felice

di Dino Cofrancesco
Nella storia delle dottrine politiche europee, l’interpretazione dei grandi eventi che hanno segnato la vita dei popoli, rimodellato le istituzioni e prodotto nuovi ‘stili di pensiero’, è stata spesso alle origini di profonde revisioni relative alle categorie concettuali fin allora invalse e ai valori fin allora riguardati quasi come dotazioni naturali dell’essere umano, che nessuno avrebbe mai pensato a mettere in discussione.(Continua)

http://www.loccidentale.it/articolo/la+democrazia+liberale+pi%C3%B9+che+alla+resistenza+deve+tutto+a+de+felice+e+montanelli.0070354

21 apr 2009

Ma che ci va a fare Berlusconi alla celebrazione del 25 aprile?

Fra quattro giorni si celebrerà la solita “comparsata” rossa del 25 Aprile. Questa volta Berlusconi ci sarà e sbaglia. Il motivo è semplice la festa della Liberazione da anni si è trasformata in una festa dell’intolleranza, della menzogna, del livore politico e della divisione nazionale. Ci ha pensato la sinistra a compiere il “capolaro”. Essere antifascisti, dopo 60 anni é una farsa, esserlo praticando l'intolleranza e la discriminazione é una vergogna. La festa del 25 Aprile è “cosa loro” in puro stile mafioso e se un rappresentante del governo di centro destra ha la peregrina idea di sfilare accanto ai “picciotti” rossi, volano insulti con bava alla bocca e fischi, quando non di peggio.Questoè successo a Letizia Moratti, che spingeva la sedia a rotelle del padre Paolo Brichetto, ex deportato al campo di concentramento di Dachau, decorato con medaglie alla Resistenza dal presidente Ciampi, costretta ad abbandonare la manifestazione, temendo per l’incolumità propria e del padre INVALIDO . Contestata violentemente, in sfregio alla democrazia da gruppi di ragazzotti, la cui unica resistenza praticata è quella allo studio e all’educazione. Intolleranti che non conoscono la storia e che si esibiscono nella nobile pratica dell’antisemitismo, dell’antiamericanismo e del razzismo più becero. Beoti che dormono con la foto di truci dittatori sotto il cuscino e che si spacciano per progressisti e liberali.
Un film già visto e rivisto, che ci va a fare Berlusconi? Per dimostrare quanto beceri, violenti e antidemocratici siano i cultori dell’antifascismo militante? Stanno già dando prova della loro prepotenza e intolleranza, infatti al legittimo desiderio del Premier di partecipare ad una festa nazionale hanno commentato, in stile Totò Riina che protegge i propri “affari”.Solo quando ci libereremo dei comunisti, dei post-comunisti e di tutte le loro menzogne, ipocrisie e “ragnatele” di poteri più o meno occulti, l’Italia sarà un paese LIBERO e potremo festeggiare la nostra liberazione, finalmente uniti.Per ora il 25 Aprile non é la Festa della Liberazione, ma una rappresentazione del peggio della sinistra. Che se la tengano pure.
Needle

20 apr 2009

Revisionismo storico

Le bugie, si sa, hanno le gambe corte, e anche le verità nascoste, o volutamente o forzatamente nascoste.
Leggendo un articolo di AnnaV, e riportato da Il Domenicale del 10 aprile, a firma di Augusto Zuliani, sorgono parecchi dubbi sul fatto che Palmiro Togliatti, leader del PCI di allora, non sapesse di quanto era avvenuto e stava avvenendo in Unione Sovietica, sotto il regime di Stalin. Circa i motivi che fanno insorgere tali dubbi, li si possono ricercare meditando sull'articolo in questione. Insomma, i fatti venuti a galla sono stati di una tale evidenza, enormità, efferratezza, che sembra sia stato impossibile il non sapere e il non vedere, a meno di essere stati totalmente ciechi e totalmente sordi. Per quanto le bocche del popolo russo fossero state cucite dal terrore, qualcosa sarà pur trapelato.
E non sapere e non vedere cosa? Ciò che dall'informazione di AnnaV avrei desunto: che il regime staliniano potrebbe essere stato anche di un'efferatezza superiore a quello hitleriano.

l’NKVD (Il Commissariato del popolo per gli affari interni) e l’NKGB (il Commissariato del popolo per la sicurezza dello Stato) decisero di eliminare tutti i “nemici del popolo”: e cioè i delinquenti comuni, i lavoratori coatti e i prigionieri politici accusati di “deviazionismo trotzkista” o di “sciovinismo”.... Nella Polonia occupata dai sovietici il terrore era pratica corrente; tra il 1939 e il 1941 circa 1, 5 milioni di persone vennero arrestate e deportate, e di loro quasi il 90% morì. Inoltre, secondo lo storico statunitense Carroll Quigley (1910-1977), venne ucciso un terzo dei 320mila polacchi catturati come prigionieri di guerra dall’Armata Rossa nel 1939.

E mi fermo qui, perchè altrimenti dovrei fare il copia-incolla di tutto l'articolo.
Fanno bene, quindi, gli ex comunisti di Nova Milanese, ora diessini, anzi partito democratico, a cambiare la dicitura del loro Centro Sociale, dedicato al leader del PCI e posto nell'omonima via, a trasformarla in Circolo, dedicandolo ad una personalità locale, Enrico Rossi, smarcandolo così dalla politica (anche se costui pare sia stato un idealista comunista).
E' quanto si apprende dal Cittadino, settimanale d'ispirazione cattolica edito nella zona di Monza, di sabato scorso 18 aprile.

17 apr 2009

Basta chiamarlo blastocisti...


Martedì 07 Aprile 2009 14:42

Una discutibile intervista alla prof.ssa Elena Cattaneo
Sul portale di www.unimi.it nelle scorse settimane è stato dato molto risalto all'iniziativa di divulgazione nelle scuole superiori milanesi degli aspetti scientifici inerenti le staminali.
Una delle personalità promotrici di tale iniziativa era la prof.ssa Elena Cattaneo, dell’Università degli Studi di Milano. Sul quotidiano “City” del 3 aprile 2009, a pag. 15, Elena Cattaneo viene intervistata sull’argomento delle staminali.

Ecco alcune frasi dell’intervista:"Per estrarre le staminali embrionali bisogna distruggere la blastocisti. E una parte della società ritiene che questa struttura di 150-200 cellule in vitro, grande meno di un millimetro, sia una persona. E che quindi non si debba usare per fare la ricerca. Ma è una posizione contraddittoria...."
A me viene da pensare che anche Cristo è stato una "struttura di 150-200 cellule", e mi viene da chiedere alla professoressa, che tiene molto a precisare di essere cattolica e credente, se, secondo lei sia diventato vero uomo solo quando ha raggiunto le 500 o le 500.000 cellule, mentre prima era solo vero Dio.
"Solo in Italia ci sono tremila blastocisti (cioè embrioni), congelate nei freezer" ..."Sono le blastocisti in sovrannumero create nei trattamenti per la fecondazione artificiale prima della legge 40. Sono destinate al congelamento distruttivo"..."Se uno pensa che siano persone non so come faccia a dormire la notte. La ricerca chiede che siano messe a disposizione per capire e sperare un domani di curare".
La professoressa, poi, candidamente aggiunge: "Non voglio dare false illusioni per le cure, oggi sono solo tre le terapie mediche possibili...le leucemie... curate col trapianto di staminali da midollo, la cornea... riparata con staminali prese dall'occhio e la pelle", cioè tutte e tre le tecniche, mi sembra di capire, usano staminali NON embrionali. Del resto, come spiega il Professor Angelo Vescovi, del San Raffaele, (http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=14924), dopo che nel giugno 2006 Shinya Yamanaka, un ricercatore giapponese, ha portato a termine il cosiddetto sistema delle iPS, ovverosia l’inserimento in cellule adulte di alcuni geni che le fanno regredire allo stadio embrionale, è la ricerca sulle cosiddette staminali adulte quella che dà maggiori probabilità di successo.
Ma tant’è: anche il grande e benemerito Edison lottò con tutte le sue energie a lungo per dimostrare che la corrente continua era quella che doveva avere un futuro e non l’alternata, per il semplice motivo che lui aveva sviluppato la prima, e George Westinghouse la seconda! Poi però sappiamo come è finita...
di Achille Vernizzi
http://www.corrispondenzaromana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=856&catid=125

16 apr 2009

«Io non faccio male a nessun individuo. Voglio camminare nudo perché ho caldo. Stop!»

Ultimamente mi sono resa conto di come si sia perso ogni equilibrio sia nel giudicare i fatti, sia nell'esprimere i propri punti di vista. Non che si debba rinunciare alle proprie opinioni, ma si deve anche tener presente i destinatari delle nostre esternazioni che il più delle volte sono solo manifestazione della nostra istintività allo stato brado.

Mi astengo dal portare come esempio le vicende più inquietanti e reali, per evitare polemiche che non mi interessano; però mi pare un ottimo test il giudizio che diamo sulla vicenda immaginata al mio amico Oste.

Se troviamo certe situazioni normali e non capiamo il perchè di certe reazioni, credo che dobbiamo incominciare a preoccuparci sul nostro buon senso o senso comune.

Ecco la situazione:



E’ estate. La canicola inchioda ogni passo. Cerco disperatamente una fontanella: eccone una finalmente. Ma il refrigerio dura un istante e avvampo subito più di prima. Anche questa leggera maglietta di cotone è insopportabilmente pesante; anche questi pantaloncini; anche le scarpe da ginnastica. Basta non ce la faccio più.



Mi fermo sotto un albero e mi spoglio: via la maglietta, via le scarpe, via i pantaloni. Ma sì, via pure le mutande! Inizio a camminare svelto sul marciapiede per raggiungere il prima possibile un autobus climatizzato: ecco che arriva. Salgo. Tutti mi guardano storto, ma chissene frega! Siamo o non siamo uno stato liberale? Chi sono loro per decidere se devo vestirmi o girare nudo? Ci sono i controllori, mi puntano. Cascano male: ho l’abbonamento.



«Scenda con noi per favore» mi fa il primo.

«Perché? Ho l’abbonamento!».

«Non può salire sull’autobus così e non può nemmeno girare per strada conciato in questo modo!»

«Ma stiamo scherzando? E perché mai?»

«Non lo sa che potremmo denunciarla penalmente per atti osceni in luogo pubblico? Art 527 del codice penale»

«Ah no signori. Mica siamo in uno Stato Etico! Io non faccio male a nessuno girando nudo per la città: è una mia libera scelta»

«Lei lede il diritto di chi non vuole assistere a tali oscenità»

«Io non faccio male a nessun individuo. Voglio camminare nudo perché ho caldo. Stop!»

«Forza, si metta i vestiti oppure la condurremo in questura»

«Questa poi! Voi non potete obbligarmi a fare qualcosa che non voglio! Non potete obbligarmi a vestirmi: nessuno può imporre un trattamento ad un altro contro la propria volontà! L'ha detto pure la terza carica dello Stato al congresso del PdL! Nessuno può accanirsi contro il mio corpo accaldato,
obbligandomi ad usare gli strumenti della tecnologia moderna come i vestiti rispetto alla naturale nudità dell'uomo!»



A quanto pare non sono stato convincente. Ora ho caldo, ho una multa da pagare e una denuncia penale sulle spalle. Tutta colpa di questo Stato Etico illiberale; tutta colpa di chi vuole imporre la decenza; tutta colpa di chi antepone il bene al capriccio! Di questo passo dove andremo a finire?

15 apr 2009

Cosa Nostra ringrazia il solito gup inefficiente e Di Pietro non vede, non parla e non sente

La "vulgata" sinistra vuole che con il "mafioso" Berlusconi i mafiosi "ballano". Al contrario, a leggere i giornali attentamente, i mafiosi ballano e brindano per la riacquistata libertà, grazie UNICAMENTE all'inefficienza cronica della giustizia italiana.Quindici mesi NON sono bastati al gup del Tribunale di Bari Rosa Anna De Palo per depositare le motivazioni della sentenza di primo grado, il cui dispositivo è composto da 62 pagine. Quattro pagine al mese, evidentemente un carico di lavoro troppo oneroso per il gup. il risultato é che 22 imputati del processo denominato "Eclissi", nei confronti del potente clan mafioso barese degli Strisciuglio, sono stati LIBERATI.Di Pietro rivolgendosi a Napolitano disse che "il silenzio é mafioso", "il silenzio uccide", però non mi risulta che questo emerito signore così bravo ad aizzare piazze di parenti delle vittime di mafia, abbia mai espresso indignazione per l'inefficienza criminale che libera mafiosi: assassini, killer, capi e gregari dei peggiori clan mafiosi che insanguinano il nostro paese.A GELA un giudice dopo otto anni non ha depositato le motivazioni di una sentenza, e sette componenti del clan Madonia, se ne sono tornati a spasso, liberi di seminare terrore e morte.A Palermo sono scaduti i termini per la custodia cautelare di Giuseppe Riina, figlio del capo di Cosa Nostra Salvatore e per lui si sono aperte le porte del carcere. A Messina i giudici di primo grado non sono riusciti a trasmettere in tempo utile le carte del processo Mare Nostrum alle cosche peloritane, finito con una raffica di condanne, anche all'ergastolo e 12 pericolosi boss mafiosi, dei quali uno condannato a cinque ergastoli, hanno riacquistato la libertà. Ormai per i mafiosi arrestati, la giustizia o quel che ne é rimasto, é una porta girevole, entrano da una parte ed escono dall'altra.Eppure questa drammatica EMERGENZA scarcerazioni, sembra non turbare minimamante il tribuno delle manette "piazzaiole". Manco é arrivato al suo attento occhio e fine udito, l'allarme dal Silp-Cgil che ha recentemente denunciato: "le facili scarcerazioni di importanti boss per decorrenza dei termini di custodia cautelare, criticando i tempi inaccettabili della giustizia nella città di Messina".Ha proprio ragione Di Pietro, mai come in questo caso il "silenzio é mafioso" , forse sarebbe il caso, che recuperasse l''uso della favella, e denunciasse questa scandalosa inefficienza dei suoi ex-colleghi.
Needle

Tempesta in Rai

A quanto pare, c'è aria di tempesta in Rai. Colpa del solito Santoro e del suo Vauro, e colpa del Ballarò di Floris col suo Crozza. Non ho visto le due puntate incriminate; e me ne guarderei bene dal farlo. Un conto è fare informazione seria, come dovrebbe fare il servizio pubblico, altro conto è fare delle reti pubbliche uso privato per impastare programmi che siano lesivi dell'immagine di coloro che non sono simpatici ai conduttori. Comunque, Santoro è stato richiamato, Vauro è stato sospeso, e Crozza, dopo le battute (probabilmente stupide) che deve aver rivolto a Maroni, costui ha detto: Ci risiamo! Col che ha spiegato tutto senza bisogno di tante parole, e senza rimpianti da parte mia per non aver visto la trasmissione!

14 apr 2009

Santoro ad Annozero

Inserisco qui un articolo di Mario Giordano comparso su “Il Giornale” l’11.’4.09, in cui tratteggia le fasi salienti della famigerata trasmissione di “Annozero” dedicata al terremoto in Abruzzo. Giordano evidenzia gli aspetti salienti del programma di Santoro: la faziosità politica, che non rifugge dal servirsi della tragedia nazionale dell’Abruzzo per colpire Berlusconi, come già aveva fatto in suo articolo l’ospite fisso di Annozero, Marco Travaglio; l’inconsistenza e la pretestuosità delle accuse contro la Protezione Civile, i Vigili del Fuoco ecc.; le vignette di Vauro sui morti nel terremoto, rivolte ad accusare, ancora una volta, Berlusconi, con un’operazione non soltanto faziosa, ma decisamente di cattivo gusto.
Giordano non si limita a ricordare come Santoro, dopo aver distrutto le regole “della par condicio e del buon senso”, abbia poi finito, parlando del terremooto, infrangere anche quelle “del buon gusto e della civiltà”, ma va oltre, e fa risaltere il bassissimo livello professionale e giornalistico di “Annozero”.
Purtroppo chiunque possieda un televisore deve versare il suo canone anche in pagamento ai favolosi stipendi del ricchissimo Santoro, personaggio che sfoggia un Rolex da polso modello Diathema (o come diavolo si chiama), così raro e prezioso da dover essere ordinato con anni di anticipo, e che si dice di sinistra: degno campione del radical-chic.
L'unica domanda che voglio pormi, e porre, è fino a quanto la RAI, teoricamente un "pubblico servizio", ospiterà simili figure nel suo palinsesto. Un referendum che prevedeva la privatizzazione della RAI era stato votato a grande maggioranza, ma non è mai stato applicato.


“Caro Santoro,
anzi caro onorevole, visto che m’ha chiesto di chiamarla così, so bene che quando si è invitati nei salotti altrui non è buona educazione raccontare al mondo quel che ci si è detti. Ma siccome quel salotto era in diretta su Raidue in prima serata, davanti a svariati milioni di telespettatori, mi permetto di infrangere le regole. Non me ne vorrà. In fondo lei di regole infrante è un maestro. E, in effetti, dopo aver fatto a pezzi quelle della par condicio e del buon senso, l’altra sera ha definitivamente massacrato anche quelle del buon gusto e della civiltà. Missione compiuta, olé.
Il suo ultimo Annozero, mi permetta, è stato uno spettacolo squallido, un atto di sciacallaggio ributtante, che non mette più la polemica sull’asse di ciò che è di sinistra o non di sinistra, ma di ciò che è civile e ciò che non lo è più. E mi chiedo se sia possibile che lei e i suoi sottopanza siate così accecati dall’odio e dalla faziosità da perdere non dico l’equilibrio politico, che quello l’avete già perso da tempo, ma anche il senso di umanità. E che non vi rendiate conto che tutto questo vi porta lontani dal Paese reale, dal sentimento diffuso di commozione e solidarietà, dall’Italia che si unisce di fronte alla sofferenza, per una volta provando a ragionare non per schemi di partito, ma secondo bisogni, urgenze e necessità. Provi a togliersi per una volta la giacchetta da europarlamentare, caro onorevole Santoro, provi a togliersi per una volta i paraocchi del katanga in servizio permanente effettivo. Vedrà che in Abruzzo c’è un’umanità dolente e dignitosa, lacerata e orgogliosa, che non chiede bandiere di partito né polemichette pretestuose. Chiede risposte concrete. Responsabilità. E serietà. Per una volta, proviamoci, anche noi, che abbiamo per le mani il bene prezioso dell’informazione. Proviamoci a togliere la maglietta di parte e a guardare la tragedia senza pensare a quel che ne potremmo guadagnare in termini di marchette politiche. Proviamo a essere seri. E lei che è un gran professionista lo sa: attaccare la Protezione civile per il ritardo nella consegna di una bottiglietta d’acqua (una! Su 27mila sfollati!), mentre ci sono le bare dei morti ancora aperte e i soccorritori che rischiano la vita fra le macerie, non è serio. Anzi, sarebbe perfino ridicolo, se non fosse tragico.
Tragico per le vittime, innanzitutto. Ma tragico anche per lei, per la sua squadra avvilita nei bassifondi della polemica, per la sua professionalità ridotta a zerbino in nome dell’ideologia, per la sua umanità schiacciata sotto il peso dell’odio politico. In Abruzzo i soccorsi hanno funzionato. Lo sanno tutti, lo dicono tutti. I volontari sono stati eroici, hanno salvato decine di vite umane. Le tendopoli sono state operative in tempi record. Non c’è stato caos, non c’è stata disorganizzazione. Tutti gli osservatori, italiani e stranieri, di destra e di sinistra, hanno potuto notare che per la prima volta sul luogo della tragedia si è sentita forte e tempestiva la presenza dello Stato. Chissà perché gli unici che non se ne sono accorti sono stati i suoi inviati, poveri kamikaze spediti sul posto a cercare disperatamente di trasformare una efficiente opera di soccorso nella Caporetto di Bertolaso.
Per altro, mi lasci dire, caro onorevole, evidentemente lei non è più il maestro di un tempo, l’esperienza a Bruxelles l’ha rammollita o gli allievi sono scarsi: ammetterà che hanno lavorato proprio male. La tesi si poteva argomentare in modo assai migliore, di voci contro, in quella situazione, se ne potevano raccogliere un’infinità. E loro, invece, gli sciagurati di Caporetto, che cosa le hanno portato in pasto? Una bottiglietta d’acqua consegnata in ritardo, lo sfogo di un medico chiaramente sfinito e poco altro. A guardare bene, tutte interviste forzate, con domande tranello, risposte indotte e montaggi con tagli spericolati. Poca roba, lo sa anche lei, chissà come li avrà sgridati nella solita riunione che fate il giorno dopo per esaminare, minuto per minuto, gli errori commessi in trasmissione. E che dirà allora di quei collegamenti con Ruotolo? Erano così noiosi... Ci voleva tanto a trovare qualcuno che dicesse «Bertolaso è un incapace» con efficace sintesi televisiva? Evidentemente nemmeno Ruotolo è più quello di una volta...
Su, onorevole Santoro, sia sincero: in fondo portare in tv qualcuno che si lamenta contro la Protezione civile in mezzo a 27mila sfollati non è mica una missione complicata. Se vuole gliene troviamo altrettanti in cinque minuti anche qui nel centro di Milano, dove pure la gente non ha patito sulla sua pelle il terremoto. La scarsità delle testimonianze da voi raccolte è una conferma (se ce ne fosse bisogno) che la Protezione civile ha funzionato bene. Ma mi resta un dubbio: possibile che non abbiate incontrato nemmeno uno che ringraziava i soccorritori? Possibile che non vi sia venuto in mente di intervistare così, en passant, anche uno della Protezione civile? Non li avete trovati? Ruotolo è così bollito?
Lei dice bene che non si può sventolare l’eroismo dei volontari come pretesto per non parlare dei problemi. Siamo d’accordo. Ma non si possono nemmeno sventolare i morti come pretesto per dire fregnacce. Voi, invece, l’avete fatto. Scientificamente. Per tutta la trasmissione. A cominciare da Ruotolo che esordisce lasciando microfono libero a un uomo esasperato che insulta le divise. E poi la bottiglietta d’acqua e altri lamenti. E poi la piccola teoria degli schizzi di fango. E poi la presidente della Provincia che se la prende con le istituzioni (e lei che cos’è signora, mi scusi?). E poi il suo sarcasmo, dottor Santoro, fra Kgb, caschi e altre cose che voleva mettersi in testa (a mettersi un po’ di buon senso, ci ha mai pensato?). E, infine, soprattutto la ciliegina sulla monnezza, cioè le spaventose vignette di Vauro, dove si ironizzava sulla cubatura dei cimiteri, l’ampliamento edilizio delle bare e, ancora, la ridicolaggine dei soccorritori.
Lasciamo da parte i malinconici dettagli: Travaglio che legge (per altro con inesattezze) verbali da questurino di provincia e il magistrato candidato De Magistris, investito ufficialmente del ruolo di censore dei furbetti (avete capito bene: il furbetto dei Valori eletto a simbolo di censore dei furbetti, che è un po’ come fare tenere ad Adriano un corso contro l’alcolismo). Lasciamo da parte i malinconici dettagli, non restano che le fregnacce. E che sono fregnacce lo sa anche lei, caro onorevole Santoro. Per tutta la settimana, nei colloqui con i suoi collaboratori, mi è stato detto che trovava sciocco insistere sulla prevedibilità dei terremoti, sulla cassandra Giuliani, sulla questione dell’emergenza, perché il vero problema è quello edilizio. Sacrosanto. Il vero problema è che in Italia ci sono 7 milioni di case a rischio, di cui 80mila sono edifici pubblici. Il vero problema è quell’ospedale dell’Aquila inaugurato nel 2000, dopo vent’anni di lavori, e che ora è inagibile. Il vero problema è il decreto del 2004 che prevedeva costruzioni antisismiche e che è sempre stato rinviato. Il vero problema è che occorre una grande opera di rottamazione edilizia e di ricostruzione. Questo è il punto. Voi lo sapevate benissimo. Dietro le quinte se ne conveniva.
E allora perché, invece, avete messo in scena solo un vergognoso processo alla Protezione civile? Forse perché il problema delle case costruite male non può essere addossato in nessun modo a Berlusconi? Forse perché vi siete accorti che, anzi, il piano casa appena varato andava proprio nella direzione dell’auspicato rinnovamento edilizio? Forse perché il ritardo delle norme antisismiche non è colpa di un sottosegretario del vituperato centrodestra, ma di una cultura del Paese che riguarda tutti? Forse perché il primo a firmare quel rinvio è stato proprio Antonio Di Pietro, nume tutelare del furbetto anti-furbetti De Magistris? Dev’essere così, è chiaro. Ma il risultato è vergognoso. Noi speravamo di parlare dei problemi seri. Su questo giornale l’abbiamo fatto, fin dal primo giorno, senza nascondere nulla, con dati e cifre, denunce e accuse fondate su abusi e inadempienze nelle costruzioni. Voi invece avete preferito affidarvi alle beghe da cortile, avete ritirato fuori la madonna del radon, l’autodidatta Giuliani, avete mestato nel torbido raccolto sul fondo della disperazione con un unico scopo: mettere nel frullatore chi da cinque giorni lavora, rischiando la vita e senza risparmiare energia, per ridare speranza all’Abruzzo. Mi chiedo perché, caro onorevole Santoro.
Mi chiedo a che serva. Visto che all’inizio della trasmissione faceva nobilmente appello al Paese che vogliamo lasciare ai nostri figli, ecco, le chiedo se davvero lei vuole lasciare ai suoi figli un Paese così, in cui nemmeno di fronte a 290 morti si trova la forza di mettere da parte i biechi interessi della politica di giornata. Se davvero vuole lasciare ai suoi figli un Paese in cui si irridono i volontari, magari solo perché vestono una divisa (si capisce la divisa non fa chic come l’orecchino e il jeans strappato...). Se davvero vuole lasciare ai suoi figli un Paese in cui di fronte all’emergenza ci si continui a sentire uomini di parte prima che uomini. Avevamo avuto una speranza nei giorni scorsi. Avevamo visto un clima diverso. Avevamo trovato commenti per una volta sensati a destra e a sinistra, avevamo trovato persone capaci di capire che il dolore e la sofferenza, pensi un po’ Santoro, contano persino più dell’essere berlusconiani o antiberlusconiani. Avevamo sperato che di qui potesse nascere un’Italia più civile. Avevamo sperato. Poi sono arrivati Vauro, le vignette e la sua bottiglietta d’acqua. Che meschinità.”

Tassare l'ipocrisia

Scritto da Davide Giacalone
martedì 14 aprile 2009
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Rincorrendo le notizie si cancella la riflessione, ci si finge aggiornati, in realtà si è superficiali. Voglio tornare al diluvio d’ipocrisia che ha accompagnato la pubblicazione dei dati fiscali relativi al 2006. Terribili, perché gli italiani votano, talora, per quelli che sostengono sia bello pagare le tasse, i quali, però, lasciano intatta l’evasione fiscale, e, talaltra, per quelli che promettono di abbassare le tasse, e quando va bene non le alzano. E’ il pendolo elettorale della presa in giro.
L’evasione è endemica, non risparmiando neanche quanti hanno un reddito da lavoro dipendente, perché su quello non scappano, ma arrotondano sul resto (esempio: insegnante che fa lezioni private). Siccome d’evasione sono, per definizione, imputati autonomi, professionisti e benestanti in genere, si finisce con il prendere a pesci in faccia quel drappello d’onesti che paga per tutti. Tattica incresciosa che serve per non dire quel che è evidente: le nostre tasse sono da rapina ed in cambio riceviamo servizi da miserabili. Ci sono interi settori il cui vantaggio competitivo è l’evasione, se rientrassero alle aliquote vigenti schianterebbero, allora si chiudono tre occhi su due, con il risultato che fette di economia e territorio escono dal controllo dello Stato ed entrano sotto quello della criminalità.
Le tasse vanno abbassate, così come deve scendere la spesa pubblica. Sento già i gridolini inorriditi di quelli che invocano Keynes come padre, ed invece sono bastardi profittatori. Il grande economista inglese, chiamato, da chi non lo ha mai letto, a simbolo della spesa pubblica, pensava ad un’aliquota massima del 25%. I keynesiani siamo noi, che vogliamo tagliare le tasse e non abbiamo confuso lo Stato sociale con quello assistenziale, la solidarietà con il clientelismo. Purtroppo, però, questo è un discorso serio, etico e liberale, mentre il nostro è un Paese cattocomunista, senza gran distinzione di schieramenti, quindi interessato ai proclami distributivi, all’elemosina spesata da altri, alla doppia morale che concilia sermoni pubblici e furbizia privata, che non crede in quel che dice e considera la bugia un diritto civile. Quello fiscale, ne è il ritratto: un popolo di accattoni che vanno a vela, gonfio di soldi sommersi, ma nemico di lavoro e ricchezza.

www.davidegiacalone.it

Il lupo perde il pelo....

Sembra non finire il calvario per i piccoli azionisti di Telecom Italia.
Secondo il laconico comunicato di Websim, si parla addirittura di confisca della partecipazione in Telecom Argentina detenuta da Telecom Italia. E' come se questa avesse trovato per strada le azioni di Telecom Argentina, e non le avesse pagate.
E intanto, a soffrirne più di tutti sono i piccoli azionisti di Telecom Italia che, dopo giorni di stentato recupero, stamattina hanno visto riscendere il prezzo delle azioni Telecom Italia sotto 1 euro.
Trattandosi di Argentina, verrebbe da dire che "il lupo perde il pelo, ma non il vizio". E dopo la storia dei prestiti argentini andati in default, e rimasti sul groppone di tanti italiani, questo proverbio calza a pennello.
Dopo il terremoto in Abruzzo, non ci voleva anche questa!

Websim - 14/04/2009 08:13:36
Prosegue il braccio di ferro tra Telecom Italia e l'Antitrust Argentina, secondo il gruppo italiano la confisca della partecipazione in Telecom Argentina è illegale. (FT p 13)

13 apr 2009

Pasqualina

La sorpresa nell'uovo di Pasqua :

Sisma, cane salvato dopo 8 giorni
L'Aquila, riconsegnato a proprietari

Ha passato 8 giorni sotto le macerie, e solo a Pasqua i vigili del fuoco sono riusciti a recuperarla: è una cagnolina grigia, chiamata dai soccorritori Pasqualina. I padroni, una coppia di coniugi romani all'Aquila per il weekend, sono dovuti fuggire di corsa dall'abitazione, e solo una volta in strada si sono resi conto che il cane era rimasto dentro. Oggi, al campo di Piazza d'Armi, l'incontro e il "ricongiungimento" tra la famiglia e l'animale.

11 apr 2009

Buona Pasqua!



La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro pesente: il presente, anche il presente più faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino. La presenza di Cristo non è soltanto una realtà attesa, ma una vera presenza.

Benedetto XVI

Noi diciamo quello che dovrebbe essere o quello che non va e non “si parte dall’affermazione che Cristo ha vinto”. Che Cristo ha vinto, che Cristo è risorto, significa che il senso della mia vita e del mondo è presente, è già presente, e il tempo è l’operazione profonda e misteriosa del suo manifestarsi.

Luigi Giussani

10 apr 2009

Mi hanno segnalato questo sito

Si può controllare la situazione sismica in tempo reale.

http://www.earthquake.it/ultima-settimana.php

Sisma in atto



Ricevo da Tintenfish

Qualcosa é in atto, guarda la cartina che allego. Erdbeben.jpg
Rosso = ultime 24 ore
Arancione = ultime 48 ore
Giallo = ultima settimana
Bianco = ultime 2 settimane

9 apr 2009

Taranto, abusava di 4 nipoti con il compagno gay

Taranto - Una brutta storia di perversione e abusi su minori sconvolge la Puglia. Un 39enne avrebbe narcotizzato e abusato sessualmente per oltre 10 anni dei suoi quattro nipoti assieme al suo convivente di 58 anni. Il padre dei bambini è stato arrestato questa mattina; all’altro uomo, indagato, il provvedimento restrittivo è stato notificato in carcere dove sconta una condanna alla pena di due anni e sei mesi di reclusione per abusi sessuali compiuti nei confronti del figlio.

Il racconto dei minori "Mettevano qualcosa nel latte o nel succo di frutta e poi ci costringevano a bere. Dopo qualche minuto non capivamo più niente". E' una delle dichiarazioni rilasciate dai minorenni nel corso dell’incidente probatorio durante il quale la magistratura tarantina ha ritenuto di aver raccolto prove a carico dei due uomini accusati di aver narcotizzato e violentato per circa dieci anni quattro minorenni.

La moglie si suicidò Dopo aver scoperto le violenze sul figlio, nel 1991, sua moglie si suicidò. I ragazzini - a quanto è dato sapere - venivano presi dal loro papà due per volta dalla casa famiglia in cui vivevano. I primi erano i più grandi: venivano accompagnati a casa e violentati, poi toccava ai due gemelli.

8 apr 2009

Malfattori a prova di sisma

PER MARSHALL.

Davide Giacalone
Pubblicato il giorno: 08/04/09
Intervento

Le disgrazie esistono, ma anche i disgraziati. Non si ferma la forza della natura, ma si può arrestare quella d’incapaci e malfattori. Quattro problemi accompagnano il terremoto: 1. la prevedibilità; 2. l’emergenza; 3. la ricostruzione; 4. la normalità. Riguardano le vite di molti ed i soldi di tutti.

Non sono un geologo, ho cani e gatti e vedo anch’io che se ne accorgono. Leggo che nessuno, nel mondo, prevede luogo ed ora di un terremoto, ma solo il rischio potenziale. Osservo, però, che sia per l’eventuale allarme nell’immediatezza dell’evento, sia per la gestione del panico successivo, manca una rete di comunicazione. Quella notte radio e tv sono rimaste in sonno. Internet non forniva informazioni. Creare una rete, usando le comunicazioni mobili, non presenta complicazioni tecniche, e costa molto poco. Non c’è.

Nella gestione dell’emergenza siamo bravi. Non tutto può essere fatto subito, e lo capiscono più le vittime di chi parla a vanvera, ma la generosità italiana si sposa con l’organizzazione, ed i risultati si vedono. Merito di molti, ma vorrei ricordare Giuseppe Zamberletti, che creò la Protezione Civile.

Le cose si mettono male, invece, nel periodo successivo, con la ricostruzione. Ci sono zone dove i nipoti dei terremotati vivono ancora da terremotati. Qui si sposano due difetti italiani: fatalismo privato ed inefficienza pubblica. Con i tempi si dilatano i costi, e la disgrazia diventa prima ruberia e poi scandalo. Chi edificherà ci guadagnerà, ed è lecito. Di più: è giusto. Ma bisognerebbe lavorare a progetto: si fissano i costi, i tempi e le caratteristiche. Chi non rispetta i termini paga.

Si edificherà in zona sismica. È così in gran parte d’Italia. L’importante è che si edifichi in modo antisismico. A L’Aquila il vecchio ospedale è in piedi, quello nuovo al suolo. Che crolli un campanile fa male al cuore, ma se crolla il cemento armato vien voglia di fare del male. Siamo pieni di leggi, in materia, per non dire di regolamenti e circolari. Carte quasi tutte redatte all’indomani di disastri, per poi restare lettera morta. Tumulata in tribunale. Questo è scandaloso. Lo scrivo sottovoce, perché siamo ad un funerale, ma con rabbia.

www.davidegiacalone.it

6 apr 2009

NAPOLI ED IL VESUVIO

Il terremoto in Abruzzo ricorda purtroppo come la quasi totalità del territorio nazionale italiano sia sismico: contro i terremoti non esiste, al momento, possibilità di difesa che non sia l'organizzazione di piani di soccorso delle popolazioni e la costruzione di edifici anti-sismici.
Questa esigenza è naturalmente generale, però ha particolare gravità per Napoli.
Il Vesuvio non è un vulcano spento, ma attivo: soltanto, al momento si trova in stato di quiescenza, però è destinato prima o poi a risvegliarsi. Inoltre, è una legge della vulcanologia che la violenza di una eruzione vulcanica risulta proporzionale al lasso di tempo trascorso dall’ultima, ossia più lungo è l’intervallo, maggiore risulta l’eruzione.
L’ultima eruzione risale al 1944, il che fa di questi 65 anni la pausa più lunga nell’attività del vulcano partenopeo da circa 2000 anni, in pratica dalla fase di latenza del Vesuvio da un improvviso risveglio e dalla distruzione di Pompei, Ercolano e Stabia nel 79 d.C.
Il punto fermo da considerare è che il vulcano di Napoli un giorno riprenderà la sua attività, in maniera intensa. Un’eruzione violenta potrebbe comportare non soltanto colate di lava, che sarebbero relativamente lente e soggette ad arresto od almeno rallentamento tramite fosse e terrapieni, ma anche una pioggia di sassi e cenere incandenscente, o persino una vera e propria “nube ardente”, contro cui l’unica vera difesa sarebbe un’evacuazione di massa. Lo scenario peggiore, però tutt’altro che impossibile, verrebbe dato da una eruzione vulcanica in contemporanea ad un terremoto: è bene ricordare che Napoli è una città con molte centinaia di grandi cavità naturali nel proprio sottosuolo.
Partendo da ciò bisogna interrogarsi su che cosa accadrebbe in tale circostanza. Napoli è per dimensioni la maggiore città italiana, ha un’elevata densità di popolazione, si trova stretta fra il mare da una parte, il vulcano dall’altra, ed ha un sistema viario piuttosto intricato. Anni addietro, dinanzi all’eventualità di una eruzione del Vesuvio, la Protezione Civile ammise che il piano di uno sgombero anche solo di parte dell’area urbana napoletana risultava quanto mai difficile, per non dire inapplicabile.
Essendo impossibile cercare di prevedere quando avverrà la nuova eruzione vesuviana, mentre invece è certo che essa accadrà, la miglior soluzione, anzi l’unica, consiste nell’organizzare un piano realmente fattibile ed efficace di evacuazione, almeno dell’area più minacciata. Napoli si trova seduta ai piedi di una bomba ad orologeria, che potrebbe produrre una catastrofe peggiore di quella del 79 d.C.

4 apr 2009

Laicità. Ma l'hanno inventata i cristiani

Da l'Avvenire del 3 marzo 2009 un articolo di Mons. Fisichella:

L’aggettivo laikós indicava o­riginariamente un membro della Chiesa, che fa parte del laós tou theou, il «popolo di Dio». Ciò è ancora più evidente se si con­sidera la traduzione latina del ter­mine, che non è il generico popu­lus, bensì plebs, che indicava speci­ficamente la comunità cristiana. L’inevitabile evoluzione del termine nei secoli successivi è specchio non solo di peculiari condizioni storiche – particolarmente, in questo caso, le divisioni provocate all’interno della comunità cattolica dalla Riforma protestante nel XVI e XVII secolo – ma anche e soprattutto dell’oriz­zonte culturale a essa sotteso. Si è così progressivamente giunti a i­dentificare la condizione di «laicità» come uno stato di autonomia della politica dalla sfera religiosa e come indice della possibilità di raggiun­gere la verità tramite la sola ragione, prescindendo dalla fede. In entrambi i casi, l’autentico signi­ficato del termine, per come si è e­voluto nel corso dei millenni, è sta­to snaturato. Se da una parte, infat­ti, non si può non concordare sul concetto di distinzione dei poteri e dei ruoli che spettano rispettiva­mente alla Chiesa e allo Stato, è in­vece difficilmente condivisibile la te­si secondo cui uno Stato è «laico» perché nel suo legiferare prescinde completamente dalla religione e dai suoi contenuti.Questa posizione si può riassumere con la massima di Ugo Grozio, fatta propria, quasi fos­se una formula magica, dal movi­mento secolarista, il quale però ne ha corrotto il significato originale: etsi Deus non daretur, «come se Dio non ci fosse». Analogamente, è as­surdo temere che la verità della fe­de possa attentare all’autonomia della ragione, oppure teorizzare che solo questa possa raggiungere la ve­rità, e fa meraviglia che i fautori di ta­li posizioni non ne siano coscienti. Se si è giunti a questa concezione moderna del termine «laicità» – è bene ribadirlo – in ambito sia filo­sofico sia politico, è solo perché nel cristianesimo si erano precedente­mente sviluppate le forme concet­tuali ed espressive che ne permise­ro il comune riconoscimento, no­nostante l’uso ambiguo e spesso strumentale a cui il termine è sog­getto. Rivendichiamo, pertanto, la primogenitura di questa concezio­ne, non per orgoglio – anche se a­vremmo tutti i diritti per farlo – ma esclusivamente perché ci venga ri­conosciuto un diritto di originalità che non ci può essere sottratto, se non altro per rispetto della verità storica. Ultimamente, si sente parlare sem­pre più spesso di «etica laica». Cosa si nasconda dietro questa espres­sione è facile immaginarlo, alla luce di quanto abbiamo esposto in pre­cedenza. Di fatto, si vuole imporre questo concetto per accreditare la tesi di un’autonomia, soprattutto dalla sfera cattolica, in grado di fa­vorire la scienza e così produrre pro­gresso. Quanto questa visione sia in­genua è evidente.Per sua stessa na­tura l’etica non ha alcuna colora­zione e ogni sua ulteriore qualifica­zione risulta pleonastica. L’etica, in­fatti, riconosce il primato della ra­gione e assieme alla ratio giunge ai principi fondamentali che stanno alla base della vita personale. Difendere in ambito politico l’esi­stenza di un’etica «laica» indipen­dente dalla «morale cattolica» è giu­sto e corretto, ma ciò non implica che i loro contenuti debbano esse­re necessariamente contrapposti. Significherebbe non percepire il nesso costitutivo che intercorre tra etica e morale cattolica e creare ar­tificiosamente, e con intenti stru­mentali, un’inesistente contrappo­sizione. Per quanto possa apparire parados­sale, oggi gli Stati hanno urgente bi­sogno di confrontarsi con la que­stione della verità; devono ricercar­la incessantemente e proporla ai cit­tadini soprattutto quando questa ha a che fare con i diritti fondamenta­li della persona, come quelli che ri­guardano la vita e la morte.Dinan­zi a quei problemi etici particolar­mente controversi, lo Stato deve confrontarsi con la verità e special­mente con quella proposta dalla re­ligione, che più di ogni altra confe­risce valore alla dignità della persona. Il concetto di tolleranza, applicato oggi ai più sva­riati ambiti – si pensi per esempio alla tolleranza razziale, politica, etnica, sessuale, culturale – non è di aiuto per risolvere la si­tuazione conflittuale nella quale ci troviamo. Lo Sta­to non può assestarsi in una sorta di neutralità che tutti accoglie e nes­suno predilige. Deve senz’altro a­doperarsi per riconoscere e difen­dere le minoranze, anche quelle re­ligiose, ma ciò non può andare a de­trimento della maggioranza pre­sente nel Paese, che ne rappresenta la storia, la tradizione e l’identità. Infine, riteniamo che in questa sua ricerca e attuazione della verità, lo Stato «democratico» sia chiamato a tenere fede a questo suo fonda­mentale attributo. In virtù del suo essere democratico, lo Stato non so­lo deve accettare di confrontarsi con la Chiesa, ma deve anche saperne accogliere – solo in un secondo mo­mento temperandole – le eventuali ingerenze. Non si tratta di una que­stione di laicità ma di democrazia, che dà prova di maturità accettan­do i rischi di tale condizione. La Chiesa invece, richiamandosi a prin­cipi che hanno un’origine superio­re a quella umana, non potrebbe mai accettare una qualsiasi inge­renza dello Stato riguardo ai propri contenuti. Ciò non rende una supe­riore all’altro, ma semplicemente ri­conosce l’autonomia e l’autoctonia di entrambe le istituzioni. La cosa può apparire paradossale, e lo è. La democrazia, obbligata per sua costituzione ad accogliere in sé elementi che vanno oltre la sfera del­la politica, trova in sé anche i mezzi per neutralizzare eventuali schegge impazzite. La Chiesa, da parte sua, ben conosce i limiti entro cui può o­perare.Gli Stati, a volte, ricorrono al Concordato per ratificare i rapporti tra le due istituzioni; si tratta co­munque di uno strumento, non di un fine. Ciò che caratterizza la pre­senza della Chiesa nel­la società è l’annuncio di un’esistenza che non si esaurisce nelle situazioni e nelle e­ventualità regolamen­tate dalle leggi emana­te dagli Stati, ma va ol­tre. L’irrilevanza del messaggio cristiano potrebbe sembrare se­gno della laicità acquisita dallo Sta­to, ma in realtà si tratta soltanto di un sintomo della debolezza conge­nita delle strutture che, in tal modo, manifestano la povertà culturale che le minaccia. I seguaci di Voltaire storceranno il naso, ma, se vorranno essere coe­renti, saranno obbligati, oggi più di ieri, a legittimare la nostra esisten­za all’interno della società; eppure, non potranno esimersi dall’affer­mare che siamo un’anomalia, una presenza fortuita, accidentale, ad­dirittura fastidiosa soprattutto in questi ultimi tempi, perché tanto in­gombrante con le sue certezze e i suoi dogmi.La pretesa di verità che rechiamo contraddice il loro prin­cipio di tolleranza – espressione ge­nuina di dogmi laicisti – secondo il quale sarebbe meglio per tutti, e per il progresso della società, se fossimo confinati nel privato, senza alcuna possibilità di esprimerci pubblica­mente su questioni di carattere so­ciale ed etico. Non è lontano da questa stessa ten­tazione anche chi si richiama a una rinnovata comprensione dello Sta­to etico, che legifera non solo pre­scindendo dalla morale presente nella società, ma si arroga la facoltà di presentarsi come istanza morale assoluta, traendo dall’ideologia l’i­spirazione per i propri interventi le­gislativi. L’apertura degli Stati generali a Versailles il 5 maggio 1789, uno degli atti fondanti della Rivoluzione francese.

Ecco perchè Obama chiede proprio all'Italia una mano sul clima

2 aprile 2009
Ieri il Senato ha approvato una mozione "contro" il riscaldamento globale

La politica verde di Barack sulla scia di quella di Bush

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha chiesto all’Italia di organizzare, a margine del G8 di luglio, un vertice sul clima tra i sedici paesi maggiormente responsabili delle emissioni di gas serra. Si tratta di una mossa spiazzante, perché – a dispetto delle lodi che ha ricevuto – di fatto colloca l’inquilino della Casa Bianca sulla scia del suo predecessore. Il “Major economies forum”, infatti, nasce da un’idea di George W. Bush, che nel settembre 2007 convocò a Washington lo stesso gruppo di nazioni per discutere di come promuovere l’innovazione e il trasferimento tecnologico. A sua volta, quel meeting faceva seguito alla formalizzazione di un’alleanza tra gli Stati Uniti, l’Autralia, la Cina, il Giappone, l’India e la Corea del Sud, la Asia Pacific Partnership for Clean Development and Climate, che il mondo ecologista e alcuni rappresentanti più o meno ufficiali dell’Unione europea bollarono come “l’anti Kyoto”. In un certo senso, a ragione: come il processo di Kyoto è pletorico e dispersivo, così la “road map” disegnata dall’ex governatore del Texas era focalizzata su temi specifici e resa agile dal ristretto numero di partecipanti.
E’ chiaro che, dopo le elezioni di novembre 2008, molto è cambiato nella linea americana, e la disponibilità a parlare, sulle questioni ambientali, la stessa lingua degli europei è aumentata. Tuttavia, peccherebbe di semplicismo chi credesse che gli Usa siano pronti ad allinearsi a Bruxelles. La stessa decisione di perseguire la strada del club esclusivo (i sedici grandi emettitori di CO2) anziché quella del trattato internazionale inclusivo (Kyoto 2), dice molto sull’impostazione che Obama vorrà dare alle sue politiche climatiche. Del resto, nonostante le innumerevoli promesse, difficilmente il presidente potrà dar seguito al suo impegno di trascinare gli Usa in uno sforzo simile a quello europeo: se non altro, perché gli mancano i numeri al Congresso (non solo per la compatta opposizione repubblicana, ma anche perché tra le fila dei democratici si nascondono diversi rappresentanti degli stati produttori di carbone che non faranno mancare il loro voto contrario, all’occorrenza).
Impossibilitato a compiere la rivoluzione all’interno del paese, Obama non potrà – e dunque, da politico navigato, non vorrà – cercare il colpo di teatro sul palcoscenico internazionale. Si spiega in questo modo la sua decisione di declinare la retorica verdissima secondo lo spartito bushiano, e certo gli fa gioco che la sua controparte sia, di tutti gli Stati membri dell’Ue, proprio l’Italia, vale a dire il paese più tiepido verso quello che David Henderson, già capo economista dell’Ocse, ha definito “redenzionismo globale”. A ricordarlo, nel caso qualcuno se lo fosse dimenticato, è giunto ieri il voto del Senato a una mozione promossa, tra gli altri, da tre presidenti di commissione (Cesare Cursi dell’Industria, Antonio D’Alì dell’Ambiente, e Guido Possa dell’Istruzione). La mozione chiede al governo di portare in Europa e nei vertici internazionali la voce del buonsenso, cioè di sottolineare l’estensione delle incertezze scientifiche a cui fa da contraltare la drammatica certezza dei costi delle strategie climatiche. Insomma, complice la crisi economica che rende politicamente impopolari tutti i provvedimenti che farebbero aumentare i costi dell’energia, per le politiche allarmistiche tira brutta aria. E, giorno dopo giorno, Obama fa un ulteriore passo verso la desantificazione.
di Carlo Stagnaro
http://www.ilfoglio.it/soloqui/2129

3 apr 2009

Mutazione genetica?

Beati i tempi in cui potevo insegnare, con l'educazione civica, ai miei alunni, che i poteri dello stato italiano sono tre: quello legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario, ognuno con competenze proprie e non interscambiabili. Oggi non capisco più: è avvenuta una mutazione genetica?

E com'è che il potere giudiziario non è in grado nemmeno di assicurare la giustizia ordinaria ai cittadini dello stato italiano, mentre trova il tempo di introdurre norme che equivalgono a delle leggi?

Insomma io come cittadina ho eletto insieme agli altri cittadini dei rappresentanti che legiferassero, perchè mi fidavo di loro; mentre i giudici non li ho eletti né io, nè alcun altro cittadino. Ma non è necessario eleggere chi deve far rispettare le leggi.

E allora? Cosa si può fare per riavere la nostra cara Repubblica fondata sulla Costituzione che ha funzionato per almeno mezzo secolo?

Ecco, questo pensavo al leggere l'articolo di Assuntina Morresi , che commenta la decisione della consulta sulla legge 40:

Giudici dallacullaallatomba

I giudici in Italia le leggi le vogliono fare. Dovrebbero farle rispettare, ma non gli basta. Sono voraci, vogliono di più, o forse potremmo dire che se la suonano e se la cantano: insomma, del parlamento machissenefrega, per non parlare dei referendum. Decidono loro, e basta.
Decidono sempre, su tutte le leggi, dopo che ci fanno i referendum, quando non gli piacciono i risultati - come per la 40 - e pure prima delle leggi, se già capiscono che non andranno bene (come le dichiarazioni anticipate di trattamento, la legge ancora non c’è e già la vogliono bocciare…quando si dice la prevenzione…ma quanto sono previdenti i nostri giudici…che meraviglia….)
e poi sono attentissimi ai vuoti legislativi, quelli proprio non li sopportano. Non se ne fanno passare uno, di vuoto legislativo. Passano gli spifferi, c’è corrente d’aria, fa male alla salute, il vuoto legislativo. Nonsaiquantoèpericolosoilvuotolegislativo, signora mia.
Per il fine vita, per esempio, lo hanno riempito bene bene benissimo, il vuoto, basta vedere la sentenza per Eluana, hanno pensato a tutto, pure a spiegare ai medici come dovevano fare, tutto quanto, non volevano neanche lasciare il sospetto di un vuotino legislativo, un vuotino piccolo piccolo….
E anche per la 40, per non lasciare il vuoto legislativo, hanno tolto un pezzo da un comma e ne hanno aggiunto un altro sul comma successivo, tante volte non si capisse dove vogliono arrivare, e insomma quanto siamo più tranquilli a vedere questi giudici così premurosi….
Tolgono il vuoto, e mettono il pieno. Legislativo.
Su tutto: dalle provette ai sondini, dalla culla alla tomba, tutta roba loro.
Quindi la legge 40 – votata in parlamento e confermata da un referendum, quello che per astensione è stato il più fallimentare della storia della repubblica – va cambiata, perché a loro proprio non gli va giù: tutta quella bella gente (dalla Ferilli alla Montalcini, ricordate i 100 volti per il si sulla copertina dell’Espresso?) che voleva tanto bene abrogarla, quella legge 40 brutta, cattiva, crudele, che invece ancora sta là, imperterrita. E funziona pure, nonostante tutto (basta vedere
la relazione al Parlamento, o anche solo la sintesi. quella presentata venerdì, di cui hanno parlato solo Avvenire, Il Foglio, e il Messaggero, gli altri hanno graziosamente ignorato la faccenda, e Repubblica ha preferito raccontare del turismo procreativo, i lettori di Repubblica neanche sanno che è stata presentata la relazione, ma anche qua, machissenefrega).
Ma dobbiamo dire che stavolta ai giudici non gli è riuscita più di tanto.
Dotti, medici e sapienti alla Corte Costituzionale hanno deciso che il limite massimo di tre embrioni da creare non vale più.
Però rimane il divieto di congelamento di embrioni, di soppressione di embrioni, di selezione eugenetica di embrioni, di ricerca sugli embrioni. Ma allora, se domani un medico produce cinque embrioni, che se ne fa, visto che li può solo trasferire in utero?
Certo, non è scritto che è vietato mangiarseli. Non sono vietati frullati di embrioni, non è vietato il purè di embrioni, e neanche frittate di embrioni: insomma, non sono esplicitamente vietate ricette di embrioni. Queste la Corte Costituzionale non le ha menzionate, almeno per adesso. E quindi forse si possono fare.
Ma il resto no, e quindi è difficile capire cosa effettivamente sia cambiato.
Neanche la diagnosi preimpianto si può fare, perché rimane intatto l’art.13, quello che vieta la selezione eugenetica di embrioni. E se produci tanti embrioni per farci la diagnosi – vietata – poi degli embrioni scartati che ci fai, visto che non li puoi sopprimere né congelare?
Intanto però i giudici sono contenti: loro le mani sulla 40 ce le hanno cominciate a mettere. Vedi un po’, magari di sentenza in sentenza, forse ci riescono a smontarla.
Adesso però non ci sono riusciti, e almeno per adesso in parlamento la legge 40 non ci torna.
Quando avranno scritto le motivazioni della sentenza, capiremo meglio cosa hanno in mente. Poi vedremo il da farsi.


Leggi anche l'intervista de Il Sussidiario alla Morresi:


LEGGE 40/ Morresi (CNB): la decisione della Corte? Apparentemente inspiegabile Ed ecco i dati ufficiali del ministero della salute sulla PMA

Bioetica, la Consulta boccia la legge 40. Roccella: "Sentenza con effetti dubbi"

Legge 40: la Consulta cancella il limite dei 3 embrioni

CLIMA, SVOLTA AL SENATO: PASSA MOZIONE ANTI-CATASTROFISTA

Riccardo Cascioli E’ stata approvata il 1° aprile al Senato la mozione presentata da 34 senatori del Popolo delle Libertà che impegna il governo a considerare – a livello nazionale e internazionale – la crescente opposizione del mondo scientifico alla teoria del riscaldamento globale di origine umana. Primo firmatario il presidente della Commissione Ambiente Antonio D’Alì, la mozione è un gesto coraggioso quanto atteso che ha il merito di gridare “il re è nudo” anche nell’arena politica dove il muro dell’ideologia è più difficile da superare.

La mozione molto semplicemente mette a confronto gli straordinari sforzi chiesti dall’Europa quanto a politiche del clima (vedi pacchetto clima-energia) e tutte le incertezze scientifiche sulla relazione tra emissione antropica di gas serra (a cominciare dall’anidride carbonica) e cambiamenti climatici, che pure è la base delle politiche suddette. La mozione impegna perciò il governo a farsi interprete di questo dibattito scientifico in sede di Commissione Europea e di G8, per evitare che vengano destinate ingenti risorse economiche ad obiettivi “ideologici” che distolgono dalla ricerca scientifica e dall’obiettivo di migliorare la qualità di vita di tutti i cittadini del pianeta. In questa prospettiva si chiede inoltre la revisione del Protocollo di Kyoto, proprio perché totalmente inadeguato alla realtà scientifica ed economica (peraltro nel libro “Che tempo farà”, di Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari, edizioni Piemme, si trova ampia documentazione dei falsi allarmismi sul clima e del progetto culturale e politico che sta dietro a questa massiccia propaganda catastrofista).

L’iniziativa dei senatori PdL ha fatto chiaramente centro, come si evince anche dalle reazioni scomposte e becere dei gruppi ambientalisti e di senatori, quali Roberto Della Seta (Pd), che agli argomenti ben documentati e scientificamente fondati, sanno rispondere soltanto insultando e bollando con etichette odiose che ricalcano i bei metodi dello stalinismo e del maoismo.

Nessuna risposta seria al fatto inconfutabile delle centinaia di scienziati che allo studio del clima hanno dedicato la propria vita e che contestano la tesi del riscaldamento globale di origine antropica. Oltre 600 di loro vengono citati nel Rapporto presentato nei mesi scorsi al Senato americano (questo sito lo ha fatto conoscere per primo in Italia), ma non contano per Della Seta che, evidentemente, come ex presidente di Legambiente pensa di aver il sacro diritto non solo al posto in Parlamento ma anche a fregiarsi del titolo di climatologo. Per lui quello che conta è il consenso dei governi (peraltro solo quelli occidentali) al Protocollo di Kyoto, come se la verità e la realtà potessero essere decise a colpi di maggioranza.

Eppure come si è visto anche recentemente a livello di Unione Europea, la voce dei 34 senatori firmatari della mozione non è isolata in Europa; e la prudenza del governo italiano sull’applicazione del pacchetto clima-energia ha raccolto a livello continentale molti più consensi di quanto Della Seta e compagni cerchino di far vedere. Ma non si preoccupino: le loro urla scomposte non riusciranno a tenere a lungo in piedi il muro della menzogna.

Per intanto un ringraziamento ai 34 senatori che meritano di essere citati: D'Alì, Possa, Cursi, Alicata, Coronella, Dell’Utri, Digilio, Fluttero, Gallone, Nania, Nessa, Orsi, Viceconte, Asciutti, Barelli, Bevilacqua, Firrarello, Valditara, De Eccher, Serafini Giancarlo, Sibilia, Baldini, De Feo, Malan, Izzo, Vetrella, Piscitelli, Boscetto, Casoli, Caruso, Piccone, Compagna, Giuliano, Poli Bortone.
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2 apr 2009

Il web energetico di Jeremy Rifkin

Jeremy Rifkin pensa che la via per risolvere il problema energetico del nostro Paese, e non solo, è quella che lui definisce la “Terza Rivoluzione Industriale”: “un sistema dove tutti i cittadini sono in grado di autoprodursi l’energia sufficiente alla sussistenza e ciò che avanza viene reimmesso nella rete comune, come avviene più o meno con le informazioni che circolano su Internet”.

Per realizzare ciò, tuttavia, c’è bisogno di ingenti investimenti nel campo delle energie rinnovabili e di una classe politica capace di capire “le innovazioni provenienti da una rete intelligente di scambio di energia, o di nuovi edifici costruiti direttamente con pannelli fotovoltaici”.

Domani, 2 aprile 2009, Rifkin sarà in videochat in diretta da Rovereto, per rispondere alle vostre domande, ma già da ora potete iniziare a raccontarci il vostro pensiero rispetto alle prospettive energetiche che si profilano nel futuro del pianeta.

Che fonti di energia pensate utilizzeremo in futuro?

Su cosa dovremmo investire da un punto di vista della ricerca?
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