29 mag 2009

Spiazzati sul Bamba

Dario Franceschini ha spiazzato tutti quanti. L'avevamo pronosticato, e pensavamo di conferire il Premio Bamba a Enrico Mentana. Invece abbiamo giocoforza dovuto assegnarlo al leader dei democratici. Il premio se l'è tirato addosso con le sue mani. La vicenda è nota a tutti. Si riferisce al monito da lui fatto alle famiglie italiane, col quale le metteva in guardia dall'affidare l'educazione dei propri figli a Berlusconi.
Più scempiaggine di così?
Qualsiasi altro candidato al Premio Bamba, in concorrenza con un caso del genere, non avrebbe avuto alcuna possibilità di successo.
Vittorio Feltri, allora, è andato oltre. Sul suo giornale, Libero, ha lanciato un sondaggio, chiedendo ai lettori di rispondere al seguente semplice quesito: affidereste il vostro cane a Franceschini, affinchè gli insegni?

27 mag 2009

Breve commento sulla campagna stampa contro Berlusconi

Il comportamento della sinistra sull'affaire di una sfortunata fanciulla partenopea è certo meschino, per non dire peggio. Ma è anche sciocco. Da 15 anni il fulcro del loro messaggio propagandistico è la presunta indegnità politica ed umana di Berlusconi. Questi è stato definito come:
1) pericolo per la democrazia, anzi neo-fascista e semi-dittatore
2) mafioso
3) corrotto e ladro
4) da ultimo, satiro
Eppure, le uniche vittorie elettorali la sinistra le ha ottenute in maniera assai poco limpida, e più per gli errori degli avversari che per i propri meriti. La demonizzazione dell'avversario non gli ha giovato, anzi ha rafforzato la popolarità di Berlusconi, per banali leggi psicologiche. Malgrado tutto ciò, l'opposizione insiste con le solite tattiche, già rivelatesi più volte fallimentari, se non controproducenti.
Al di là della assurdità della polemica montata ad arte dalla sinistra, e del suo carattere sordido ed ignobile, che cosa importa agli Italiani di tutto ciò? Hanno ben altri problemi, per cui vedere i "rossi" agitarsi attorno alla vita privata del Cavaliere non può che provocaro in loro indifferenza e disgusto.
Se ragioneranno correttamente, gli elettori dovranno confrontare i meriti di una maggioranza che, pur fra molte difficoltà, cerca di operare per il bene del paese, ed un'opposizione dedita all'attacco personale, sulla base di argomenti e modi propri dello pseudo-giornalismo scandalistico fondato sul pettegolezzo.

26 mag 2009

Brunetta Santo subito: guarigioni di massa nella PA

I dati lasciano veramente a bocca aperta. O Brunetta ha i poteri taumaturgici della Madonna di Lourdes o la PA era afflitta da una legione di fannulloni, che il "piccolo, grande ministro" ha messo in riga.Qualche dato tanto per dare una dimensione della rivoluzione apportata dal Ministro Brunetta:nelle Marche i giorni di assenza sono crollati del 56%, seguite dal -54% della Toscana, dal -50% dell'Emilia-Romagna e dal -49% dell'Umbria. Il record negativo con il -64,4% va alla provincia di Massa Carrara.La Regione Veneto ha visto un calo dei giorni persi per malattia nell'ordine del -44,5% e si piazza all'undicesimo posto tra le amministrazioni regionali di tutta Italia. Belluno spicca invece tra le amministrazioni provinciali del Nord-Est, con un -61,4% di assenze per malattia, al quarto posto a livello nazionale.La maglia nera alla Regione Liguria con -64%.Piemonte fa invece segnare un calo del 47% e la Valle d'Aosta un -37. Nell'area spiccano poi i risultati delle amministrazioni torinesi: la Provincia è prima in Italia con una diminuzione di oltre il 65%, mentre il Comune si piazza al secondo posto con un calo del 51,5 per cento. I dipendenti del Comune di Genova hanno usufruito del 41,6% di giorni di malattia in meno, quelli di Aosta del 29. Questi numeri sono scandalosi, perchè sono lo specchio di un malcostume che ha sempre afflitto la PA e che costava allo Stato (e quindi a noi contribuenti) un fiume di denaro. Una vera e propria VERGOGNA nazionale.E a Ballarò in questo momento stanno a parlare del "caso" Noemi, se questa non é DISINFORMAZIONE e CENSURA, da parte della Rai, ditemi voi cos'é.
E' vero la televisione pubblica é in mano ai politici, ma di sicuro non militano nel centrodestra. Il regime é della sinistra, e Berlusconi PURTROPPO non riesce a fare nulla di concreto, per cambiare questa iniqua situazione.
Needle

Forte candidatura al Premio Bamba

C'è un personaggio che rischia di brutto di vedersi appioppare il prossimo Premio Bamba: è Enrico Mentana, già menzionato da Vittorio Feltri, per lo stesso motivo. In quella occassione s'era parlato della scornatura presa da Mentana per aver annunciato le dimissioni ai quattro venti, e poi averle dovute effettivamente dare. E' chiaro che all'indomani di quell'annuncio clamoroso, fatto in diretta televisiva nei vari telegiornali, non poteva poi esimersi dal dare effettivamente le dimissioni; pena, la perdita della faccia. Ora, dopo aver dato le dimissioni per mantener fede a quella sua parola data, si rivolge ai tribunali per essere integrato nel posto di lavoro???? Lo metterei a farelo spazzino; senza con ciò denigrare l'utilissimo lavoro di questa benemerita categoria di lavoratori.
C'è da restare allibiti, nell'apprendere di certe notizie. Non c'è limite all'indecenza umana!!!
In veste di rappresentante di tanti piccoli azionisti Mediaset, chiedo ai vertici dell'azienda di fare tutti i ricorsi possibili per non far rientrare un personaggio del genere.
Ma lui stesso,non si vergogna!!

Per intanto gustatevi una vignetta di Sarcastycon http://sarcastycon.wordpress.com/2009/05/26/una-persona-seria/

23 mag 2009

La lettera di Melania Rizzoli deputato PdL- La presse


«Cara Veronica, parli con suo marito»
Dia ai suoi figli un vero esem­pio di vita, esca da quella ca­sa dorata e si faccia vedere tra le donne italiane
Melania Rizzoli (LaPresse)Cara Veronica,
le scrivo una lettera pubblica a nome mio e di molte mie colleghe parlamentari. Tutte noi abbiamo letto le parole da lei espresse nei confronti di suo marito e tutte noi ne siamo rimaste molto colpite. Non è nostra intenzione commentare le sue iniziative me­diatiche che evidentemente esprimono un disagio profondo, ma desideriamo farle co­noscere il nostro, di disagio, sicuramente di­verso dal suo, ma forse meno personale, poi­ché comprende l’universo femminile italia­no.
Noi deputate del Pdl riteniamo che la sua esternazione pubblica abbia fatto tornare indietro di colpo di cinquant’anni le donne, a quando erano comandate dal maschio dominante ed erano bersaglio del maschili­smo becero, a quando veni­vano considerate solo corpi da guardare e sesso da gode­re, mentre le proprie mogli erano solo madri e necessa­riamente casalinghe. Il no­stro disagio si è concretizza­to alla lettura dei giornali di queste settimane, in cui si sono sprecati i ritratti di donne aspiranti a qualun­que cosa, con foto di ragazze seminude (comprese le sue), con puntuali citazioni di amanti e di peccati, abbiamo letto il velato disprezzo per le donne che comunque sfiora­no il mondo 'porno' dello spettacolo, i titoli umilianti scelti (velina ingrata), ed il ritrat­to della donna italiana è tornato, in tre set­timane, ad essere quello desolante che a fa­tica ci eravamo illuse di aver cancellato. L’eco delle sue parole è arrivato sulla stam­pa estera, dove le italiane sono state dipin­te come cortigiane, tutte seno e labbra rifat­te, e l’Italia, il cui Capo del Governo ha il cognome che porta lei ed i suoi figli, ritratta come un Paese di veline, tutte col book foto­grafico sotto il braccio, che mostra il 'lato B', nostro orgoglio nazionale!
Cara Veroni­ca, la potenza del suo amaro messaggio, scelto sicuramente con dolore e con determi­nazione, ha provocato l’esplosione di una mentalità sopita e mai soppressa. Noi depu­tate avvistiamo in Transatlantico ammic­canti sorrisi maschili ed ascoltiamo com­menti compiaciuti rivolti alla sessualità, grazie a lei invidiata, del nostro Premier. Cara Signora Berlusconi, lei ha sposato un uomo fuori dal comune, che ha sempre avu­to quel carattere che lo contraddistingue e che è parte del suo fascino, come lei stessa ha riconosciuto più volte, e suo marito avrà per lei dei difetti anch’essi fuori dal comu­ne, ma deve riconoscere che ha anche una personalità talmente travolgente da averle fatto dichiarare che difficilmente ne avreb­be fatto a meno.
Cara Veronica, ci stupisca ancora, visto che la sua voce ha una eco così vasta, faccia qualcosa di concreto a favore delle donne. Dia ai suoi figli un vero esem­pio di vita, esca da quella ca­sa dorata e si faccia vedere tra le donne italiane, quelle che tutte le mattine vanno al lavoro per portare a casa lo stipendio. Faccia tornare sui giornali le notizie del terre­moto d’Abruzzo e della crisi economica mondiale. Usi la sua forza mediatica non per distruggere ma per costrui­re, come ha sempre fatto nel­la sua vita. Abbandoni la sua solitudine e lasci perdere i famelici av­vocati e gli eventuali interessati consiglieri, e segua le ragioni del suo cuore perché, per dirla come Pascal: «Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce».
Cara Veronica, torni a parlare con suo ma­rito, privatamente però, e con la vostra fa­miglia che cresce, perché da soli, dopo tan­to amore e dopo tanta vita, è come un lutto, si soffre, si piange e si sta male, specie se i sentimenti non sono morti, ma restano an­cora vivissimi.
Con affetto e stima
Melania Rizzolideputato Pdl 23 maggio 2009

E' sufficiente ?

Ricevo da Luciano :

G8. Polizia carica studenti a Torino, Ferrero: Inaccettabile
18 maggio 2009 Roma, 18 mag. - "Sono barbare e inaccettabili le cariche della polizia avvenute a Torino" dichiara Paolo Ferrero, leader del Prc, e aggiunge: "Di fronte ad azioni di protesta del tutto non violente e simboliche (in vista del G8 sui temi dell'università, ndr) le forze dell'ordine hanno aggredito i manifestanti, coinvolgendo molte persone rimaste ferite, tra cui la responsabile scuola della segreteria nazionale di Rifondazione Comunista". In Italia, chiude Ferrero, "il diritto a manifestare è sancito dalla Costituzione e chiediamo al governo di interrompere immediatamente queste azioni da stato di polizia".
Piemonte

Prova anche qui :
http://www.coispnewsportale.it/piemonte/torino/g8-universita-l-attacco-del-prc-a-polizia.html

Per ora ho trovato solo questo, ma...

non demordo

http://www.dire.it/DIRE-POLITICO/g8_atenei.php?c=21068&m=9&l=it
Ciao Ambra

22 mag 2009

Premio Bamba a Ferrero

Chiedo la collaborazione di Elly e Ambra, affinchè mi cerchino un articolo, apparso in settimana su un quotidiano, in cui è riportato il testo dell'intervista fatta a Paolo Ferrero, segretario del Partito di Rifondazione Comunista. L'intervista in questione è quella relativa agli scontri avvenuti a Torino tra polizia e gruppi di studenti, che protestavano fuori dalla sede dove si è svolto il convegno mondiale dei rettori universitari, chiamato impropriamente il G8 dei rettori.Il suddetto Paolo Ferrero, deve aver fatto una dichiarazione talmente ridicola, ma talmente ridicola, a proposito di un incidente occorso ad una studentessa (si è ferita ad un gomito, forse cadendo), tanto che Vittorio Feltri gli ha assegnato il Premio Bamba settimanale, senza alcuna esitazione e accompagnandolo da uno dei suoi consueti commenti esilaranti.

Farouk Hosny a direttore dell'UNESCO, una nomina da bloccare subito

22.5.2009
ECCO CHI DIRIGERA' L'UNESCO, FAROUK HOSNI, UOMO DI ODIO E NON DI PACE, SCRIVERE SUBITO PER PROTESTARE !
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/05/2009, a pag. 1-10, l'appello di Bernard-Henri Lévy, Claude Lanzmann e Elie Wiesel contro la candidatura del ministro egiziano Farouk Hosni come direttore generale dell'Unesco dal titolo "L'Unesco e il candidato che odia Israele ". Fare copia incolla sul link che segue, per inviare all'UNESCO la propria protesta, anche in italiano, è bene che ne arrivino molte:
http://www.unesco.org/webworld/portal/processing/forms/contact/en/form.php
C hi ha dichiarato, nel­l’aprile 2001, che «Israele non ha mai contribuito alla civilizzazione, in nessun’epoca, perché non ha mai fatto altro che appropriarsi del bene altrui»? E chi ha ricominciato, quasi due mesi dopo, asserendo che «la cultura israeliana è una cultura inumana; è una cultura aggressiva, razzista, pretenziosa, che si basa su un principio semplicissimo: rubare quello che non le appartiene per poi pretendere di impadronirsene»? Chi ha dichiarato, nel 1977, ripetendolo in seguito su tutti i toni, di essere «nemico accanito» di qualsiasi tentativo di normalizzazione dei rapporti del proprio Paese con Israele? O ancora recentemente, nel 2008, chi ha risposto a un deputato del Parlamento egiziano, preoccupato del fatto che potessero essere introdotti libri israeliani nella Biblioteca d’Alessandria: «Bruciamo questi libri; magari li brucerò io stesso davanti a voi»? Chi, nel 2001, sul quotidiano egiziano Ruz-al-Yusuf, ha detto che Israele era «aiutato», nei suoi oscuri maneggi, dall’«infiltrazione degli ebrei nei mass media internazionali» e dalla loro diabolica abilità a «diffondere menzogne»? A chi dobbiamo queste dichiarazioni insensate, questo florilegio dell’odio, della stupidità, del cospirazionismo più sfrenato? A Farouk Hosny, ministro della Cultura egiziano da più di 15 anni e, di sicuro, prossimo direttore generale dell’Unesco se, entro il 30 maggio, data di chiusura delle candidature, non si farà nulla per fermare la sua marcia apparentemente irresistibile verso una delle cariche di responsabilità culturale più importanti del Pianeta. Peggio ancora: quelle appena citate sono soltanto alcune — e non le più nauseabonde — fra le innumerevoli dichiarazioni dello stesso tenore che costellano la carriera del signor Farouk Hosny da una quindicina d’anni e che, di conseguenza, lo precedono quando aspira, come oggi, a un ruolo culturale federatore.L’evidenza è dunque questa: il signor Farouk Hosny non è degno di tale ruolo; il signor Farouk Hosny è il contrario di quello che è un uomo di pace, di dialogo e di cultura; il signor Farouk Hosny è un uomo pericoloso, un incendiario dei cuori e degli spiriti; resta solo poco, pochissimo tempo per evitare di commettere il grave errore di elevarlo a uno dei più eminenti incarichi. Invitiamo quindi la comunità internazionale a risparmiarsi la vergogna che rappresenterebbe la nomina di Farouk Hosny, già data come quasi acquisita dall’interessato, a direttore generale dell’Unesco.Invitiamo tutti i Paesi che amano la libertà e la cultura a prendere le iniziative che s’impongono per scongiurare tale minaccia ed evitare all’Unesco il naufragio che questa nomina costituirebbe. Invitiamo il presidente egiziano, in omaggio al suo compatriota Naguib Mahfuz, premio Nobel per la letteratura, che in questi giorni si starà rivoltando nella tomba, in omaggio al suo Paese e all’alta civiltà di cui è l’erede, a prendere coscienza della situazione, a sconfessare con la massima urgenza il suo ministro e comunque a ritirarne la candidatura.Certo, l’Unesco ha commesso altri sbagli in passato, ma questo sarebbe un insulto così enorme, così odioso, così incomprensibile; sarebbe una provocazione così manifestamente contraria ai propri ideali che non riuscirebbe a risollevarsi. Non c’è un minuto da perdere per impedire che l’irreparabile si compia. Bisogna, senza indugio, fare appello alla coscienza di ognuno per evitare che l’Unesco cada nelle mani di un uomo che, quando sente la parola cultura, risponde con l’autodafé.

21 mag 2009

Obama avventurista pazzotico in Medio Oriente

Scritto da Carlo Panella giovedì 21 maggio 2009

Un progetto avventurista, e per di più, vecchio di 50 anni: questo è il minimo che si possa dire delle linee strategiche dei piani di Obama per la soluzione della crisi israelo-palestinese che stamane hanno dilagato sui giornali israeliani. Il cuore della proposta è sconcertante: lo Stato palestinese dovrebbe essere privo di forze armate, mentre Gerusalemme, dovrebbe passare sotto la sovranità delle Nazioni Unite. Vi sono poi altre idee –non male quella di un risarcimento economico a carico della Ue e degli Usa per i milioni di profughi- ma questi due capisaldi hanno dell’incredibile perché dimostrano una totale mancanza di rapporto con la realtà. La proposta di disarmo dello Stato palestinese è infatti a dir poco pazzotica, perché cade nel momento in cui Israele continua a consegnare alle forze di sicurezza della Anp camionate e camionate di armi leggere e medie, che sono indispensabili ad Abu Mazen per mantenere un controllo della West Bank, in cui Hamas è assolutamente ben radicata. La proposta, dunque, non ha senso, perché il problema della sicurezza di Israele è tutto nell’opzione terroristica e stragista che fino al 2005 è stata condivisa dalla Anp di Arafat, che poi, con un ritardo trentennale è stata recisa finalmente da Abu Mazen, ma che è ancora tutta operante in Hamas che peraltro continua a suoi lanci di razzi su Sderot. Un quadro contorto, da cui emerge con chiarezza un incredibile, assurda, assenza negli scenari su cuoi ragiona Obama: il conflitto interpalestinese. Pure, ieri, questa si è di nuovo cristallizzata in due governi l’un contro l’altro armati –e non è una metafora- con Salem Fayyed a Ramallah e Ismail Hanyeh a Gaza, mentre lo stesso ASbu Mazen –ma la notizia è stata ignorata dai media- ha accusato Hamas di avere usato decine di ambulanze per trasportare armi a Gaza. Ma Obama tace sul conflitto sanguinario che dal 2005 ha fatto centinaia di vittime, palestinesi massacrati da palestinesi. Obama tace, sul fallimento di 2 anni di trattative per una pacificazione tra Anp e Hamas, e i suoi progetti “nuovi” hanno la ruggine di decenni e decenni fa. Proporre oggi agli ebrei, così come ai musulmani, di rinunciare alla sovranità su Gerusalemme vuol dire tornare alla astrattezza del progetto di spartizione dell’Onu del 1947 (che questo prevedeva) e ignorare che questa opzione è semplicemente impossibile e inaccettabile per gli uni, come per gli altri. Infine, ma non per ultimo, Obama tace su un punto fondamentale a cui si lega la questione dei profughi, che non è solo “tecnica” o territoriale. Pure, Netanyhau glielo ha ricordato: sino ad oggi, la trattativa tentata da Ehud Olmert con Abu Mazen si è arenata su un punto, il rifiuto del presidente palestinese di riconoscere il carattare di “Stato ebraico” di Israele. Questa, si badi bene, è la dicitura della risoluzione 187 dell’Onu del 1947 –che fondava uno “Stato ebraico” e uno “Stato “arabo”- ed è rifiutata non solo da Abu Mazen, ma da tutti i paesi arabi –inclusi Egitto, Giordania e Marocco che pure hanno riconosciuto Israele- per un insormontabile vincolo religioso, perché una visione fondamentalista delle vicende umane proibisce loro di considerare che su terre sacre all’Islam possa esistere ed essere riconosciuto uno “Stato degli ebrei”. Insomma, una serie di omissioni, di silenzi, di capriole che concorrono a forare una proposta sgangherata, pessimo inizio per una Amministrazione che pare intenta –si vedano gli sberleffi crescenti ricevuti da Teheran- a confermare i peggiori presagi sul proprio avventurismo pressappochista di molti analisti.(L'Occidentale del 21 maggio)Da:http://www.carlopanella.it

Se Obama progetta di deportare 1.500.000 di clandestini nessuno s’indigna…

Quel “razzista” di Obama ha intenzione di dare un giro di vite all’immigrazione clandestina con una deportazione di massa, perché un milione e mezzo di immigrati irregolari espulsi, non si può chiamare in altro modo.Dopo Zapatero, un altro santino prediletto della sinistra, abbandona la strada del “volemose bene” e porte aperte a tutti per intraprendere quella del “pugno di ferro” per chi entra nel Paese, violando la legge. Roba da far svenire tutte le anime belle italiane in un sol colpo, che nel presidente nero, vedono la raffigurazione del politically correct, in carne, ossa e pelle rigorosamente ambrata o abbronzata, che dir si voglia;-)Or bene l’amministrazione Obama si accinge a dare la caccia ai clandestini anche nelle prigioni. Si, compreso i colpevoli di reati minori, come guida in stato di ebbrezza o infrazioni stradali, che rischieranno la deportazione dopo avere vissuto magari per decine di anni illegalmente, ma onestamente, negli Stati Uniti.Si parla dell’espulsione di un milione e mezzo di clandestini, circa dieci volte la quantità attuale. Premesso che non ho nulla da ridire e anzi apprezzo, coerentemente, la concretezza di questa azione dell’amministrazione Obama, come mai la nostra stampa nazionale non grida allo scandalo?Come mai i buonisti di casa nostra, che addirittura hanno scomodato le leggi razziali per il prolungamento nei Cie, non si stracciano le vesti di dosso?
Come mai Franceschini che tira in ballo il nazismo anche per un starnuto di Berlusconi, tace?
E Di Pietro? E Vendola? E Ferrero? Insomma tutti coloro che si esibiscono puntualmente in una patetica canea, per ogni provvedimento del Governo Berlusconi, teso ad arginare l’invasione in atto nel nostro paese? E infine l’Onu che ha appena riaccolto nel Consiglio dei diritti umani, gli Usa, non ha proprio NULLA, ma nulla da obiettare davanti alla deportazione di massa di Obama di un milione e mezzo di "poveri" migranti?
Needle

18 mag 2009

18 maggio 1988 - 18 maggio 2009

Il 18 maggio 1988, ventun anni fa, lasciava questo mondo Enzo Tortora.

Vogliamo ricordarlo così:

http://dailymotion.virgilio.it/relevance/search/enzo+tortora/video/x2a65h_tortora_news

17 mag 2009

Dopo la mafia, la criminalità più grave é quella degli immigrati clandestini

Le cifre sono le stesse che ormai da anni il capo della Polizia, Antonio Manganelli, ripete quasi fosse un disco rotto, ma che evidentemente a certe orecchie sorde, proprio non arrivano. Sono cifre che Manganelli commenta così:"Si tratta del più grave fenomeno registrato dagli anni ’90 dopo la criminalità mafiosa". Sono cifre che spaventano gli italiani, costretti in certe zone degradate, a vivere come se fossero in guerra, con il coprifuoco.Pena... uscita con scippo o stupro o la testa aperta a randellate da un "povero migrante" che voleva fregarsi il portafoglio, piuttosto che il cellulare o la bici.
Sono cifre che nessun politico sano di mente, si sognerebbe di confutare, attribuendo ad una reale esigenza di sicurezza, un fenomeno strampalato come "l'insicurezza" percepita, frutto della propaganda della destra razzista e xenofoba.
A Franceschini e soci consiglio di andare in certi rioni trasformati in ghetti, per capire quanto strumentale e capziosa sia la loro tesi, smentita in primis dalle cifre di cui sopra, le quali regolarmente testimoniano che i cittadini non percepiscono altro che la realtà.Una realtà spaventosa se a fronte di un milione di clandestini, al Nord, sette reati su dieci sono opera degli stessi. Ma se ne lasciassimo entrare altri due o tre milioni, che fine faremmo? A quanti reati saremmo esposti? Come e CHI potrebbe difenderci?Bene fa quindi il Ministro Maroni a proseguire per la sua strada sui respingimenti, senza lasciarsi intimidire dalle sparate dell’Onu o influenzare dalla lagne buoniste delle beghine catto-comuniste (una per tutte l’antipaticissima Rosy Bindi), sempre pronte a preoccuparsi delle esigenze dei clandestini e a fregarsene alla grande di quelle del popolo italiano, che fra l’altro, passa loro stipendio.
Needle

Se tu fossi...Berlusconi...

Rubo questo link da Il Legno Storto, dove un amico ha aperto un thread con questo invito : prova a rispondere :
http://www.flavioberlanda.net/setufossi.htm

16 mag 2009

Sul caso di Daria Bignardi

Premio Bamba a Daria Bignardi
Striscia La Notizia le aveva dedicato un ampio servizio, sabato scorso. E ieri le è arrivato l'ambito riconoscimento da parte di Vittorio Feltri. Daria Bignardi, la conterranea di tanti miei amici ferraresi, è stata insignita del Premio Bamba settimanale, da parte di Vittorio Feltri; premio messo in palio da Libero (quotidiano al quale collabora anche Davide Giacalone). Il premio le è stato aggiudicato per la performance negativa conseguita nella puntata di venerdì 8 maggio, dell'Era glaciale quando ha avuto ospite il ministro Renato Brunetta:http://www.youtube.com/watch?v=_Uqt-L01wg0La Bignardi, che a detta di Feltri è solita imbarazzare i propri ospiti, per le maniere supponenti con cui conduce il programma, questa volta è stata lei ad essersi trovata in seria difficoltà; ha trovato, nel ministro Brunetta, pane duro per i suoi denti. La Bignardi è andata in difficoltà quasi subito, dopo aver pronuciato in modo errato il nome del padre dello Statuto dei Lavoratori. Il caso è già citato anche su Wikipedia, dove, alla voce Giacomo Brodolini, è stata aggiunta la seguente nota conclusiva:Curiosità: sul nome di Brodolini si è consumata, nella puntata de L'era glaciale in onda su Rai 2 al principio di maggio 2009, un acceso battibecco tra la conduttrice, Daria Bignardi, e il ministro della Pubblica Amministrazione e Innovazione, Renato Brunetta. Quando la Bignardi, citando un passo di un libro di Brunetta, ha erroneamente chiamato "Brandolini" il Brodolini, il ministro è andato su tutte le furie, e si è scandalizzato del fatto che una conduttrice che è anche una giornalista potesse storpiare il nome di una personalità così importante per la storia del '900 italiano.La scivolata è costata cara alla Bignardi, perchè poi non è più stata in grado di riprendersi, e ha inanellato un serie di gaffe. Tanto che ai vertici Rai2, già preoccupati per il calo continuo degli indici d'ascolto del programma - motivato anche dall'infelice scelta oraria per la messa in onda di venerdì alle ore 22.50 - si aggiunge ora la questione che si aprirà sulla qualità del programma, in relazione al fatto che, comunque, alla preparazione del programma vi lavorano 25 più 15 redattori.Riguardando il programma da You-Tube, credo proprio che la Bignardi il premio Bamba se lo sia meritato.

15 mag 2009

Caro Napolitano impara dai canguri

Davide Giacalone
Pubblicato il giorno: 15/05/09
Linea dura
I guasti provocati dal buonismo un tanto al chilo sono enormi, compreso l’intestardirsi a descrivere razzista o xenofobo un popolo che non lo è. S’inzuppa tutto d’emotività e sentimentalismo, complici Napolitano ed il Vaticano, condannandosi all’incapacità d’affrontare un problema grave. Provo a rivoltare il luogocomunismo: gli immigrati, in Italia, (...)
(...) sono troppo pochi.
L’Australia ha una legislazione durissima, contro i clandestini, ma un lavoratore, regolare, ogni quattro è immigrato. Gli Stati Uniti sono assai severi, al confine con il Messico hanno tirato su un muro, ed hanno un lavoratore immigrato ogni sei. La Gran Bretagna considera reato l’ingresso irregolare, ma ha un lavoratore immigrato ogni nove. Da noi ti danno del razzista se ti permetti di dire che la legge devono rispettarla tutti, i bianchi, ma anche i gialli ed i neri, s’impressionano se sosteniamo che non possiamo accogliere tutti, s’illuminano di pretesa xenofobia se poni il problema, ma poi c’è solo un lavoratore immigrato ogni quindici. Ecco la formula: più chiarezza e severità portano più lavoratori regolari, mentre più lassismo e sanatorie portano più lavoratori in nero. Chi è xenofobo, chi li vuole in regola o chi li mette in mano alla criminalità?
L’imbroglioda smascherare
Se vogliamo parlare seriamente, allora, si deve denunciare un doppio imbroglio: quello di chi confonde gli emigranti con i richiedenti rifugio, che sono cose radicalmente diverse; e quello di chi confonde il blocco ai clandestini con il blocco agli immigrati. I duplici imbroglioni ottengono un risultato pessimo, perché inducono a credere che sia legittimo delinquere e mentire pur di entrare in Italia, il che fa crescere l’avversità verso un’orda di potenziali bugiardi e disonesti. La colpa non è dei tanti poveri disperati, ma dei nostri mestatori con la faccia pia, il cuore in mano e la disonestà nell’anima.
Sgomberiamo il campo dalla contro accusa: il governo di centro destra fa la faccia dell’armi perché siamo in campagna elettorale, ma è solo propaganda. Mettiamo che sia così. C’era un modo, serio, per contrastare questa iniziativa e consisteva nella tesi esposta da Pietro Fassino: i respingimenti li abbiamo preparati e voluti noi. Solo che qui lo abbiamo riconosciuto e ce ne siamo complimentati, mentre a sinistra lo hanno zittito.
Il presidente Napolitano, su un punto, ha ragione: in Italia le differenze di colore, etnia e religione sono aumentate. Segno che non siamo un Paese chiuso. Il rischio d’esclusione, che denuncia, però, lo corrono gli italiani più deboli. Dalla scuola, ad esempio. E questo capita perché abbiamo messo in atto, anche a cura dello stesso Napolitano, una non-politica dell’immigrazione, preoccupati del numero e non della qualità, obnubilati da pregiudizi di fratellanza ed accoglienza, poi pressati dalle necessità del sistema produttivo e delle famiglie, che hanno portato alle regolarizzazioni di quanti già erano da noi. Così facendo abbiamo importato tutta manodopera di basso livello, che paghiamo poco e che, conseguentemente, scarichiamo sui quartieri, le scuole, i presidi sanitari e gli italiani più in difficoltà. Una politica, insomma, concepita per coltivare la xenofobia.
I nostri difettivengono a galla
Quando, invece, arriva in Italia un ingegnere informatico indiano, da prendere all’università, gli rendiamo la vita impossibile, lo riempiamo di incombenze burocratiche e gli neghiamo il congiungimento con la famiglia. Non lo buttiamo fuori noi, se ne va lui. In questo modo facciamo scappare uno che avrebbe potuto far concorrenza ai privilegiati, preferendo lasciare in cattedra i raccomandati. Poi prendiamo un medico filippino, ne sfruttiamo la disperazione e gli facciamo fare le pulizie, da clandestino o semi-regolare, in concorrenza con i poveri. Chi è xenofobo, chi vorrebbe agevolare il primo o chi s’innamora del secondo?
Sull’immigrazione, quindi, vengono a galla i nostri difetti strutturali, con una giustizia da quinto mondo ed una credibilità statale da barzelletta. Ragionarci significherebbe individuare colpe e responsabilità, ecco perché preferiscono predicozzi e lacrimucce coccodrillesche.
www.davidegiacalone.it

13 mag 2009

L'ONU ci attacca, ma senti chi parla

Davide Giacalone
Pubblicato il giorno: 13/05/09
L’Onu ha grandi responsabilità, o, quanto meno, è colmo d’incapaci che aiutano il mercato degli schiavi ad essere fiorente. Visto che, al commissariato che si occupa dei rifugiati (Unhcr), non riescono a star zitti, (...)
(...) è utile rinfrescare loro la memoria. E dato che non sono in grado, diciamogli anche che cosa dovrebbero fare. Il lettore scusi la pedanteria, ma questi ciarlieri e strapagati perditempo hanno stufato.
Cosa sia un “rifugiato” è stabilito dal primo articolo della convenzione relativa, firmata a Ginevra nel 1951. Può chiedere rifugio chi scappa da persecuzioni che abbiano ad oggetto la fede religiosa, la razza, la cittadinanza, l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale o le opinioni politiche. Dato che non è ragionevole scappare da un Paese che l’Onu considera affidabile, sotto il profilo dei diritti umani e dell’assistenza ai rifugiati stessi, il punto E del sesto comma chiarisce: “La presente Convenzione non è applicabile alle persone che secondo il parere delle autorità competenti del loro Stato di domicilio hanno tutti i diritti e gli obblighi di cittadini di detto Stato”. E, per evitare equivoci, poco dopo stabilisce che non è applicabile nemmeno alle persone che “hanno commesso un crimine grave di diritto comune fuori dal paese ospitante prima di essere ammesse come rifugiati”.
E veniamo alle cose pratiche: noi italiani saremmo degli incivili perché riaccompagniamo in Libia, dopo averli soccorsi, i barconi di migranti, fra i quali potrebbero esserci dei presunti rifugiati. Questa è la tesi dell’ex presidente dell’internazionale socialista, oggi a capo dell’Unhcr. La Libia, ci dice questo signore, non ha firmato la convenzione di Ginevra (grazie, lo abbiamo scritto noi per primi). Ebbene, abbia la cortesia di prendere una cartina geografica.
L’alternativa
Difficile credere che i migranti arrivino in Libia via mare, visto che da lì salpano per venire da noi. Arrivano via terra. Quello che segue è l’elenco dei Paesi confinanti, e quella fra parentesi è la data, per ciascuno, dell’entrata in vigore della convenzione: Algeria (16 agosto 1992); Ciad (17 novembre 1981); Egitto (20 agosto 1981); Nigeria (21 gennaio 1968); Sudan (23 maggio 1974); e Tunisia (20 maggio 1956). Detto in modo diverso: ammesso e non concesso che il Paese di partenza non abbia aderito alla convenzione, per arrivare in Libia questa gente è, per forza, passata da un altro Paese, dove la convenzione è vigente. Perché non hanno chiesto lì, di essere rifugiati? Avrebbero fatto meno strada e corso meno pericoli.
L’Onu, anziché dedicarsi alla propaganda politica ed all’elaborazione di stupidaggini, potrebbe rendersi utile, perché visto che dall’Africa arrivano in tanti, sperando d’essere assistiti e rifugiati, la cosa più sensata è prenderli nel primo Paese convenzionato, anziché sottoporli al taglieggiamento dei criminali ed al rischio d’annegare. Quindi, scollino le chiappe dal lussuoso palazzo ginevrino, ed anziché regatare sul lago Lemanno si barcamenino in loco, rendendosi utili. Aprano dei begli uffici, o li rendano operativi, in uno od in tutti i Paesi elencati sopra, registrino le richieste, ne valutino la fondatezza ed assegnino delle destinazioni. Noi italiani prendiamo quelli che ci spettano, gli altri si rifugiano altrove.
Finti perseguitati
Che fanno, invece, questi burocrati mondiali? Ci dicono: no, prima ve li prendete e poi esaminiamo. Naturale, a quel punto, che vengano tutti da noi, anche perché in Germania, in Francia, in Gran Bretagna ed in Grecia (per citare alcuni) l’immigrazione clandestina è un reato, mentre in Spagna no, ma provvedono sparando alle frontiere. Noi, invece, li soccorriamo, li facciamo sbarcare, e poi ci mettiamo mesi per capire chi sono, da dove veramente vengono e se hanno diritto all’asilo. I rifugiandi li mettiamo in albergo, come capita al Cara (centro assistenza richiedenti asilo) di Arcinazzo, vicino Frosinone, gestito dall’arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di San Trifone, dove la località turistica li fa villeggiare e li cura, a spese della collettività. Il sindaco dice anche che è un affare, visto che ci lavorano una quarantina di persone, mentre il proprietario dell’albergo non crede alle sue tasche, così trasformando un’economia sana in economia assistita, con la scusa dell’assistenza. Un capolavoro. In Svizzera, dove gli straparlanti commissari alloggiano, una roba simile non la permettono neanche se gli dichiari guerra.
La solare evidenza è un’altra: quei disperati sui barconi non sono perseguitati, sono morti di fame che, legittimamente, cercano una vita migliore. Solo che l’ignavia dell’Onu li consegna ai mercanti d’esseri umani e l’arroganza dell’Unhcr pretende di rifilarceli tutti perché siamo i più vicini via mare, i più esposti e quelli che non considerano reato la clandestinità. C’è un limite, e questi signori lo hanno superato.
www.davidegiacalone.it

Di Pietro a Ballarò

Ieri sera, ho visto solo l'ultima mezz'ora di Ballarò: mi ero soffermato un attimo perchè in quel momento stava parlando il senatore Gaetano Quagliariello; persona gentile, positiva e propositiva: è un piacere ascoltare i suoi pacati interventi. Poi, o più tardi, era toccato intervenire a Di Pietro: avrei voluto spegnere. Conosco il suo modo d'intervenire, grossolano è a dir poco, ma ho voluto soffermarmi per vedere dove sarebbe andato a parare. Una macchietta. Fossi stato il Totò degli anni '60, quello della deliziosa scenetta del Pasquale fermo di fronte alle Terme di Diocleziano, a chi ieri sera m'avesse visto gesticolare col telecomando, impaziente se restare o cambiare, a domanda avrei detto: "resto, per vedere, chissà mai, "questo stupido dove vuole arrivare". E chi ha visto il finale di programma, non può che convenire con me: scena da macchietta di teatro comico. Eppure eravamo in un programma serio.Vorrei fare tante considerazioni, come per esempio quella a riguardo di certi ex colleghi di lavoro, i quali, durante riunioni aziendali importanti, al loro turno dibattimentale, non sapendo cosa dire, facevano interventi insulsi e senza senso, rispetto a quanto stavamo discutendo. Così m'è parso l'intervento dell'ultima mezz'ora di ieri sera di Di Pietro. E, per intanto, mi fermo qui.

12 mag 2009

Io l'ho trovato qui il TG4,

http://www.video.mediaset.it/mplayer.html?sito=tg4&data=2009/05/10&id=7732&from=mondotv

Giornalisti pelandroni - aggiornamento

Aggiornamento al post di ieri sera.
Ho rivisto la registrazione del Tg4 delle ore 19 di ieri. I mezzi a cui si riferisce Paolo Romani, non sono semplici furgoni, bensì tre furgoncioni, oserebbe dire camioni, forse della Rai, o di chissà chi, appostati fuori dal "famoso" ristorante dove si è svolta la "famosa" cena.Forse, chi ha ordinato quella "spedizione" pensava o sperara (maliziosamente, molto maliziosamente) di fare chissà quale clamorosa scoperta; scoprire chissà quali scabrosi risvolti, da poter eventualmente "vendere" per far offuscare l'immagine del premier Berlusconi.E i giornali e le riviste che hanno elucubrato e fronzolato intorno al regalo che egli ha portato alla festeggiata del compleanno, hanno fatto la figura dei buontemponi che non sanno cosa fare per riempire le loro pagine di giornali. Li associo quindi al destinatario della presente pantomima. Si è visto di che pasta son fatti costoro, e quanto squallore e miserevolezza ci sia dietro il loro operato.

11 mag 2009

L'arcaismo del fondamentalismo islamico

L’economista algerino Rashid Mimouni, morto nel 1995, aveva scritto un breve ma aureo libretto, tradotto in italiano col titolo di “Dentro l’integralismo. La testimonianza di uno scrittore algerino” (Torino, Einaudi, 1996), in cui descrive il carattere irrazionale e dogmatico dell’integralismo algerino, di cui egli aveva testimonianza diretta, e la difficoltà da parte della società algerina di respingere tale dottrina.
Fra i capitoli dell’opera, quello iniziale, che fornisce l’inquadratura al testo nel suo complesso, si intitola significativamente “Arcaismo: il mondo sarà quel che era”. Si riportano qui, con breve commento, alcuni passi di questo capitolo.
Mimouni, dopo aver parlato della concezione arcaica e superata dell’economia quale si ritrova presso i fondamentalisti (proibizione del prestito ad interesse, riduzione della tassazione alla sola imposta personale sul reddito ecc.), spiega come l’ideologia integralista sia nel suo complesso una manifestazione di arcaismo, fondata sulla volontà di riportare l’Islam al suo modello paradigmatico di riferimento, l’Arabia di Maometto.
“L'ideologia integralista, nelle sue manifestazioni con­crete, mostra un identico arcaismo. I suoi proseliti si ac­caniscono sulla necessità di un ritorno alla purezza origi­nale dell'Islam. In questo senso, essi esaltano un modo di vita simile a quello che esisteva in Arabia nel VII secolo.”
Tale volontà di tornare indietro nel tempo viene applicata in maniera sistematica, anche in questioni apparentemente di poco conto:
“Si ostinano nell'imitare il Profeta anche nell'aspetto este­riore. Portano la barba come lui, si vestono allo stesso mo­do, e taluni dormono come faceva il Profeta, coricati sul fian­co, sulla nuda terra. Spalmano le loro palpebre di kh6l, per­ché questo prodotto di bellezza è anche un antisettico molto in uso in una regione dove imperversa il tracoma. Coloro che hanno la barba grigia, se la tingono utilizzando un pigmento di provenienza araba, e rifiutando le tinture moderne. Qual­siasi evoluzione che riguardi i costumi o le pratiche di vita di­venta sospetta di eresia.”
Le conseguenze di tale atteggiamento, nella loro irrazionalità e nel loro anacronismo, si manifestano subito, con esiti nefasti. Mimouni porta l’esempio, davvero paradossale, del calendario:
“Il calendario arabo è lunare. Il suo principale inconve­niente è che non corrisponde al ritmo delle stagioni, vale a dire alla rotazione della Terra intorno al Sole. L'anno lunare conta circa trecentocinquantacinque giorni. Ogni mese cosí arretra di dieci giorni a rotazione terrestre, sci­volando indietro dall'estate verso la primavera, poi dal­l'inverno verso l'autunno. Ma i nostri integralisti conti­nuano a rifiutare il calendario solare. Il loro atteggiamen­to diventa ridicolo a proposito del Kamadàn, il mese di di­giuno che i musulmani devono osservare ogni giorno, dall'alba al crepuscolo. La scienza astronomica consente da molto tempo di calcolare con molta precisione la data dell'apparizione della luna nuova, e di conseguenza l'ini­zio del mese sacro che vide il sorgere del primo versetto del Corano. C'è piú di un vantaggio nel poter stabilire in anticipo la prima e l'ultima giornata di astinenza, poiché gli orari di lavoro cambiano, come numerose altre abitu­dini, compreso il modo di consumazione dei cibi. Inoltre, la fine del Ramadan sfocia nell'Al-'id giornata festiva. Le amministrazioni e le imprese hanno bisogno di avvertire il personale del giorno di congedo e di adottare le dispo­sizioni del caso.”
E’ possibile da molti, moltissimi millenni calcolare con assoluta precisione il momento del passaggio al “novilunio”: vi riuscivano già i Sumeri, ed oggigiorno tale calcolo è persino ridicolo, rispetto al bagaglio di conoscenze astronomiche acquisite. Ciononostante, i fondamentalisti rifiutano la possibilità stessa di prevedere il momento del passaggio da un mese lunare ad un altro:
“Ma i nostri conservatori dogmatici si ostinano a rifiu­tare i calcoli della scienza che registra i movimenti dei pia­neti. Persistono nel volere constatare di persona l'appari­zione della luna crescente e rifiutano anche l'uso del tele­scopio. Continuano ad alzare il loro sguardo verso il cie­lo, anche se è coperto da nubi, e tutta la comunità musulmana attende l'oracolo fino a tarda ora nella notte. La stessa attesa si ripete alla fine del mese. Si contano ventinove o trenta giorni? L'indomani è festivo o no? […] Il nazionalista Boumedienne era riuscito a imporre da alcuni anni il calcolo astronomico. Ma fu costretto a re­trocedere sotto la pressione dei bigotti oscurantisti che so­stenevano come nella sua onnipotenza Dio avesse il dirit­to e il potere di sconvolgere l'universo con una decisione sovrana.”
La dottrina teologica islamica asserisce infatti la dottrina detta in Occidente della potentia Dei absoluta, solitamente rifiutata invece dal cattolicesimo e dall’Ortodossia, che invece accettano preferenzialmente la nozione, sostanzialmente derivata dalla filosofia greca, della potentia Dei ordinata. In termini semplicistici: per la prima interpretazione, Dio non è limitato dalle proprie stesse leggi, mentre per la seconda Dio rispetta la propria stessa volontà e non la modifica.
Sul piano concreto, tale rifiuto di calcolare il sorgere del nuovo mese apporta numerose complicazioni che apporta alla vita dei cittadini (l’Al’id è infatti giornata festiva e non lavorativa, con tutto quel che comporta).
“Il mese del Ramadan, in questo modo, cristallizza nume­rosi arcaismi.
Il testo decreta che è vietato bere e mangiare dall'alba al crepuscolo.
Che cos'è l'alba e che cosa il crepuscolo, se si ricusa il trat­tato di Copernico ?”
Inoltre, motivazioni politiche si mescolano all’asserzione della assoluta onnipotenza divina.
“Non mancano le complicazioni, poiché gli scrutatori della volta celeste vedono il nostro unico satellite attra­verso il filtro delle loro convinzioni. Ciò dà luogo a uno stridente paradosso per il quale taluni, per manifestare la loro opposizione al potere, ne facevano una questione d'o­nore nel rifiutarsi di vedere la falce di luna che altri ave­vano intravisto.”
Da parte mia, posso al momento aggiungere in provvisoria conclusione che il “fondamentalismo islamico”, pur nella varietà delle sue manifestazioni, è certamente, come scrive Mimouni, una costruzione basata sulla pretesa di “ritornare al passato”, cioè l’Arabia del VII secolo d. C., considerata modello di perfezione e purezza religiosa. In considerazione della natura della shar’ia, la legge islamica, e dei suoi stessi modelli interpretativi, si può ben dire che che gli integralisti islamici affermano in modo radicale quel che i “moderati” sostengono in misura più limitata: la differenza è più di “quantità” od “intensità”, che non di “qualità”.

Giornalisti pelandroni

Il sondaggio di oggi sull'indice di gradimento di Berlusconi per gli italiani, ha fornito una motivazione per il titolo un pò irriguardoso usato per il post pubblicato su AQUAEDUCTUS. Il titolo diceva: "I giornalisti del c...." dove "c" si poteva prestare a varie interpretazioni. Il sondaggio di oggi dice che il 74,8 % degli italiani approvano l'operato di Berlusconi. Prima del faziosissimo programma dell'altra sera, che non ho visto, ma del quale ho letto una graziosa cronistoria presso Nessie ( leggi qua ) l'indice di gradimento era del 73,5%.Come volevasi dimostrare, si è così visto che ormai qui in Italia quel genere di giornalisti dovrebbe avere le ore contate, e l'editore che punta testardamente su di loro, comprenderà di tasca propria di aver scelto il cavallo sbagliato. Molti hanno anche capito che quel genere di giornalisti sono anche dei pelandroni scansafatiche. Quei giornalisti, proprio perchè sono dei giornalisti dalla professionalità diventata dubbiosa, potrebbero ora apparire anche pelandroni scansafatiche; non giustificabili, quindi, gli alti compensi con cui vengono onorati. Puntare sempre e solo a fatti che riguardano anche la sfera personale del premier, alla fine stanca gli ascoltatori, e può quindi essere controproducente per quei giornalisti che li propinano. Ma essi forse credono d'aver a che fare con branchi d'imbecilli, e d'abbindolarli quindi come vogliono, propinando loro sempre, gira che ti gira, la stessa minestra. Sono programmi che, per essere allestiti non richiedono granchè di sforzo o di fantasia. A dimostrazione di ciò, Paolo Romani nel Tg4 delle 19, ha parlato anche di un fatto successo i giorni scorsi: tre furgoni erano appostati non so dove, per far la posta non so a chi. Qualcuno deve averli mandati e pagati. E questo sarebbe far programma? Puntare sempre su Berlusconi, potrebbe essere quindi diventato indice di pelandreria, e mancanza di fantasia e d'ingegno. Si vuol ottenere il massimo dei risultati col minimo sforzo; e questo è tipico dei pelandroni.

Cane scappa di casa : torna al canile

Pistoia, è scappato da padrone adottivo

E' scappato dal suo padrone per tornare al canile: è la storia del meticcio di nome Birillo. Il cane tempo fa era stato abbandonato ed era finito al canile Hermada di Montecatini, nel Pistoiese, e aveva trovato un padrone disposto ad adottarlo. Però l'animale ha lasciato la sua nuova dimora e si è presentato davanti ai cancelli della struttura per cani abbandonati: una volta aperto il cancello ha iniziato ad abbaiare a scodinzolare per la gioia.
E' stato un volontario ad avvisare la vicepresidente del canile, ed è stata lei, un po' incredula, a riconoscerlo. "Una scena che non dimenticheremo tanto facilmente - dicono i responsabili della struttura -. Se un cane addirittura arriva a fuggire per tornare al canile vuol proprio dire che si è sentito amato e accudito e bisogna soltanto ringraziare chi lavora al canile sia come dipendente che come volontario, facendo un servizio a tutta la comunità e facendolo soprattutto con amore e passione".Naturalmente il nuovo proprietario è stato avvertito e poco dopo Birillo ha lasciato il canile per la sua nuova casa. L'uomo ha assicurato, che per evitare altre fughe, porterà ogni tanto l'animale al canile a trovare i vecchi compagni: uomini e animali.

10 mag 2009

Qui si può vedere

http://video.corriere.it/

Il calabrone spia che gironzola nell'ufficio.

Il "PD-100 Black Hornet" è un mini-elicottero, di pochi centimetri, dotato di telecamera
MILANO - Questo elicotterino potrebbe diventare il nuovo giochino preferito del vostro capoufficio: minuscolo, maneggevole e silenzioso. Semplicemente perfetto per un controllo discreto dei dipendenti al lavoro. Questa, perlomeno, è l'idea dell'azienda norvegese che intende commercializzare il futuristico prototipo volante e radiocomandato. Il "PD-100 Black Hornet" è il più piccolo elicottero al mondo equipaggiato con microtelecamera nella pancia. Nel filmato promozionale della "Prox Dynamics" il mini-velivolo svolazza per i corridoi e nelle stanze di un ufficio senza farsi notare. MOTORE ELETTRICO - È stabile e resiste pure ai colpi di vento; non sia mai che un dipendente apra improvvisamente la finestra. All'esterno il profilo del "calabrone nero" è talmente sottile che, già a pochi metri d'altezza, si confonde nel paesaggio. È azionato da un micro motore elettrico ed è grande appena 10 centimetri. Pesa 15 grammi, raggiunge le 20 miglia all'ora ed ha un'autonomia di volo di 15 minuti. Oltre a fungere da potenziale "spia" da ufficio è pensabile un suo utilizzo anche per il controllo del traffico e, soprattutto, per missioni di sicurezza o militari.
Elmar Burchia09 maggio 2009
http://www.corriere.it/cronache/09_maggio_09/calabrone_spia_ufficio_elmar_burchia_33b64346-3ca7- 11de-a760-00144f02aabc.shtml

9 mag 2009

I giornalisti del c....

Nota: questo post va messo in relazione con l'ultimo di Marcello.

Nessie, a costo di stancare, lo ripeto anche in questa sede: meriteresti il Premio Pulitzer, o, quantomeno, il premio giornalistico da 1500 euro messo in palio da Wikipedia Italia. Avevo perso l'ultima puntata di AnnoZero, come pure avevo perso (senza il minimo dispiacere) tutte le altre 28 puntate precedenti, e meno male ci sei stata tu a farci questo resoconti favoloso. E' questo articolo che ti candida definitivamente ad essere annoverata tra i grandi del giornalismo italiano; anche se, come suppongo, fai tutt'altra attività.
Ero impegnato nel leggere di una "grande" della storia di Monza, quando ho voluto distrarmi un attimo, andando a fare capolino sul sito di Marcello: AQUAEDUCTUS.
Sai che lui ripubblica il meglio di te, nel suo sito, e quindi mi sono soffermato a leggerlo. Semplicemente fantastico, il modo in cui esponi i fatti, che quelli della mia età conoscono a perfezione, avendoli vissuti in diretta quando essi avvenivano.
Tutti "santi" e tutte "santarelline", oggi, quelli che hai citato; ma a quei tempi??????Ed è così per la Bonino, per la Guerritore, per Pannella; e chi più ce n'ha, di "santi" d'oggi, più ne metta; ben sicuro di non strafare!!!!
E' per quello che non ho più guardato AnnoZero; da quando "colui" ha ridotto quel programma ad una sorta di sua proprietà privata, per farci tutta la propaganda antiberlusconiana possibile, per dare sfogo a suoi antichi personali rancori nei confronti di Berlusconi. Ma, per fortuna, abbiamo imparato a ragionare con la nostra testa, e a discernere.E non mi ci è voluto molto a capire del suo malumore, anche questa volta, perchè l'inizio del programma sono stato comunque costretto a vederlo. E ho sentito "l'avviso" lanciato al pubblico ascoltatore, da parte di Santoro; e m'è bastato per capire dove sarebbe andato a parare il programma.Ma che razza di giornalista(del ...)!!!

8 mag 2009

Perché dire che basta la "buona fede" per salvarsi è come dire che esiste una verità al di fuori della verità.



di Roberto de Mattei su Il Foglio del 05/05/2009

Il vero dibattito aperto da “L’elogio della coscienza” di Benedetto XVI è destinato a svolgersi all’interno della chiesa, dove il Papa-teologo è sottoposto a un acceso fuoco incrociato.

I progressisti vi vedranno una nuova pietra di ostacolo lanciata contro il “dialogo” ecumenico, gli ultralefebvriani, un ennesimo esempio di cedimento al “liberalismo”.
Né gli uni né gli altri hanno in genere la pazienza di leggere fino in fondo e con attenzione gli scritti ratzingeriani, spesso intellettualmente sofisticati e di accessibilità non immediata a chi vorrebbe tagliare con l’accetta problemi teologici complessi. Comunque il libro è qui, pubblicato dall’ottimo Davide Cantagalli, con l’unico difetto di non indicare le fonti da cui sono tratti i capitoli che lo compongono.

Proprio qualche settimana prima che uscisse il volumetto, il quindicinale antimodernista “Sì sì no no”, ha accusato Benedetto XVI di voler “conciliar l’inconciliabile”, addebitando all’allora cardinale Ratzinger l’adesione ad una nota frase del cardinale John Henry Newman, secondo cui, “io brinderei per il Papa.

Ma prima per la coscienza e poi per il Papa”. Questa sentenza, secondo “Sì sì no no”, rivelerebbe un “soggettivismo filosofico-teologico”, che è il “motivo conduttore” di tutto il pensiero ratzingeriano dai primi anni di seminario (1946) sino ad oggi (2009), confermato dal recente libro di Gianni Valente, “Ratzinger professore” (San Paolo, Cinisello Balsamo, 2008) sulla formazione intellettuale di Benedetto XVI.

Il libro di Valente, interessante per ricostruire l’atmosfera culturale del cattolicesimo soprattutto tedesco prima del Vaticano II, prova semmai l’esistenza di un’evoluzione nel pensiero di Joseph Ratzinger, dagli anni in cui il teologo Michael Schmaus, correlatore della sua tesi, ne criticava il soggettivismo, a quelli del celebre “Rapporto sulla fede” (1985).

Tutti sanno che il giovane Ratzinger svolse un ruolo di punta come perito teologico del cardinale Joseph Frings nel Concilio Vaticano II; ma è altrettanto noto che di fronte alla “aggressione della realtà” postconciliare, egli svolse e continua a svolgere una serrata critica, dall’interno, al progressismo cattolico avanzante. Fin dalle prime pagine del nuovo libro, Benedetto XVI-Ratzinger spiega che la coscienza non può essere separata dalla verità, in cui trova la sua misura e il suo fondamento. Il concetto di verità ci offre, a suo avviso, la chiave per spiegare il significato del brindisi del cardinale Newman, che non voleva affermare il primato della soggettività dell’individuo sull’oggettività del Magistero, ma al contrario sottolineare l’esistenza di un’armonia tra i due poli della coscienza e dell’autorità.

Il termine medio è proprio la verità, che prima di essere annunciata dalla chiesa, è impressa nella nostra coscienza, perché ci viene data con la stessa natura umana. La coscienza non si radica sull’io, ma sull’oggettività dell’essere. “In definitiva, il linguaggio dell’essere, il linguaggio della natura, è identico al linguaggio della coscienza” (p.163).

Benedetto XVI, accusato di “liberalismo” e di “soggettivismo”, critica esplicitamente “l’ideologia del liberalismo filosofico che impregna anche la mentalità della nostra epoca” (p. 110). “La coscienza non si può identificare con l’auto-coscienza dell’io, un muro di bronzo contro cui persino il Magistero non può fare a meno di infrangersi” (p. 146). Svincolata dal suo rapporto costitutivo con la verità e con l’ordine morale, la coscienza viene a essere nient’altro che la soggettività elevata a criterio ultimo dell’agire (p. 42). Voler conciliare coscienza e legge morale, non significa voler “conciliare l’inconciliabile”.

Alla fine degli anni Sessanta, in piena crisi post conciliare, il padre Cornelio Fabro dedicò un approfondito saggio a “Il valore permanente della morale” (raccolto in “L’avventura della teologia progressista”, Rusconi, Milano 1974) contro i moralisti protestanti e cattolici che teorizzavano la “morale della situazione”. Quel saggio, attualissimo, andrebbe riletto accanto al libro di Benedetto XVI. L’autore vi dimostrava l’esistenza di due aspetti della morale: una dimensione soggettiva, che ha la sua radice nella libertà, e una dimensione oggettiva che ha la sua radice nella norma, ossia nella legge divina e naturale. Non si può amputare la morale di nessuna delle due dimensioni, né della libertà, né della legge, se non la si vuole vanificare.

La libertà e la norma, osservava Fabro, non sono dei momenti dialettici, ma costitutivi l’uno dell’altro. Anche la coscienza, spiegava a sua volta il padre Ramon Garcia de Haro, è una norma della moralità, ma mentre la legge costituisce una norma fondante, la coscienza è una norma fondata: essa ha nella legge oggettiva e universale il suo fondamento. (La vita cristiana, Ares, Milano 1995, p. 402). “E’ sempre più evidente che la malattia propria del mondo moderno è la mancanza di moralità”, ovvero la perdita della legge naturale, osserva Benedetto XVI (p. 139).

La negazione della legge naturale è l’esito di un processo intellettuale che risale alla filosofia del diritto illuminista e, più indietro, al giusnaturalismo di Ugo Grozio e al nominalismo di Guglielmo da Ockham. Nel Novecento il principale tentativo di fondare il diritto sulla ragione umana è stato quello di Hans Kelsen. Secondo il giurista austriaco, la validità dell’ordinamento giuridico si fonda sulla pura “efficacia” delle norme, cioè sul loro potere di fatto.

Quando Pilato pone a Gesù la domanda: “Che cosa è la verità?” (Gv, 18, 38), non attende una risposta, ma si rivolge immediatamente alla folla, sottoponendo la decisione del caso controverso al giudizio del popolo. Kelsen è dell’opinione che egli abbia agito da perfetto democratico e si spinge ad affermare che il relativismo di Pilato dovrebbe essere la regola assoluta della democrazia. Il filosofo del diritto Richard Rorty è oggi il più noto esponente della visione kelseniana della democrazia secondo cui l’unico parametro della politica e del diritto è l’opinione della maggioranza dei cittadini. La maggioranza ha sempre ragione e la sua volontà deve essere imposta a ogni costo, senza alcun riguardo per l’esistenza di un diritto e di una verità

Dove sbagliano Mancuso e Bianchi

Dal saggio del cardinale Ratzinger, la concezione di Kelsen-Rorty esce frantumata. Una volta dissolto il fondamento universale di un ordine di valori, è facile dimostrare la fragilità e la precarietà di diritti che si pretende costruire sulla pura creazione razionale della norma.

“Laddove il criterio decisivo del riconoscimento dei diritti diventa quello della maggioranza, lì è la forza che è divenuta il criterio del diritto” (p. 40). Ciò è lampante nel caso in cui, in nome della maggioranza si nega il fondamentale diritto alla vita di chi non ha neanche la possibilità di fare ascoltare la sua voce. Alla “dittatura del relativismo”, Benedetto XVI Ratzinger oppone la concezione metafisica e cristiana secondo cui “al di sopra del potere dell’uomo sta la verità: essa deve essere il limite e il criterio di ogni potere” (p. 85).

Per questa concezione, “la verità non è un ‘prodotto’ della politica (cioè della maggioranza), bensì ha un primato su quest’ultima e dunque la illumina: non è la prassi a ‘creare’ la verità, ma è la verità che rende possibile un’autentica prassi” (p. 54). Ci si potrebbe domandare in che cosa consista questa legge naturale e morale che l’autore considera assoluta e vera. La risposta va cercata in un’analogia tra la logica e la morale. Se esistono principi indimostrabili, che si impongono per la loro evidenza all’intelligenza, a cominciare dal principio di identità e di non contraddizione che ne costituisce il cardine, esistono anche principi morali che si impongono con evidenza alla coscienza, senza bisogno di dimostrazione. Il primo principio evidente all’uomo è che bisogna fare il bene ed evitare il male.

Il giudizio non riguarda il bene e il male in astratto, ma i singoli atti umani. La coscienza è in questo senso la valutazione morale del nostro agire concreto.

Essa presuppone la verità e indica alla volontà il cammino che deve percorrere. Non è possibile un’ignoranza incolpevole dei primi principi della legge morale, afferma san Tommaso d’Aquino nella Summa Theologica (I, q. 79, a. 12 ad 3) e ripete ora Benedetto XVI. Non è mai una colpa seguire le convinzioni che ci si è formate, anzi uno deve seguirle. “Ma nondimeno può essere una colpa che uno sia arrivato a formarsi convinzioni tanto sbagliate e che abbia calpestato la repulsione verso di esse, che avverte la memoria del suo essere” (pp.29-30). Il richiamo alla coscienza, insomma, non può giustificare qualsiasi scelta dell’uomo, a cominciare dalla scelta religiosa.

Esiste un ampio ventaglio di teologi, talvolta in discussione tra loro, come Enzo Bianchi e Vito Mancuso, colleghi al San Raffaele di Milano, che rifiutano l’assioma dell’extra ecclesiam nulla salus. Eppure, come non avrebbe senso affermare l’esistenza di una verità fuori della verità, ancor meno senso ha la pretesa di una possibilità di salvezza al di fuori di quella società di salvezza che è la chiesa.

A meno che non si volesse negare alla chiesa il suo fine specifico, che è quello, assegnatole dal suo Fondatore, di redimere gli uomini dal peccato e condurli alla salvezza eterna. I cattolici che rifiutano l’assioma extra ecclesiam nulla salus sono convinti che la “buona fede” salva.

Ma allora, assomigliano a quel teologo, conosciuto dal giovane professor Ratzinger, secondo cui persino i membri delle SS naziste sarebbero in Paradiso perché portarono a compimento le loro atrocità con assoluta certezza di coscienza (p. 10).

Fu in seguito a queste parole che il futuro Pontefice maturò la convinzione che dovesse essere falsa la teoria della coscienza soggettiva. Questa riflessione lo portò a sviluppare il suo pensiero e il volume che ora appare, elogio della verità, più che della coscienza, illustra bene il suo percorso intellettuale. (Fonte Il foglio)

5 mag 2009

Divorzio all'italiana

Si era più avanti, quando eravamo indietro. Fra un po’ ci consoleremo così, perché a botte di sentenze a dir poco contro la donna, si tornerà ai tempi dell’esilarante film di Germi.L’ultima in ordine di tempo, ma non quanto a iniquità riguarda il solito extracomunitario che nel 2006, a Milano, uccise a coltellate (per gelosia) la propria fidanzata italiana, il quale ha evitato l’ergastolo (e se l’è cavata con 14 anni) perché secondo la Cassazione un delitto causato dalla “morbosa gelosia” non può essere punito con l’aumento di pena previsto nei casi di “futili motivi”.Insomma la gelosia è un motivo “serio”, che garantisce un bello “sconto” di pena. Quindi un arabo che scanna la moglie italiana perché questa non si imbacucca con un burqa, ha le sue “porche” ragioni. E’ grave scannare la consorte ma lei ci ha messo del suo, scatenando la “morbosa” gelosia. E già che ci siamo vogliamo ricordare un’altra mirabolante sentenza che riporta al medio evo la nostra giustizia, quella che ha scongiurato l’ergastolo al carnefice della Sig.ra Reggiani, la quale per evitare di essere violentata ha opposto “fiera resistenza” costringendo il "povero" stupratore, ladro e assassino ad ammazzarla.Ma che le sarà mai venuto in mente di opporre “fiera resistenza”? Così facemdo ha obbligato il "povero" migrante ad aprirle la testa come un melone, dopo averla stuprata ugualmente e derubata. Ma che vogliamo scherzare uno sporco individuo vuole violentarci, ma non ci passi per la testa la peregrina idea di fare resistenza, men che meno, fiera. Anzi rendiamogli lo stupro semplice veloce e indolore, come dice la pubblicità di una nota marca di siringhe. Un “Pic” indolor e magari ringraziamolo pure, così se siamo fortunate non ci apre la testa come un melone perché sa, che tanto la farà franca. O quasi.
Needle

4 mag 2009

Monet al tempo delle ninfee-In mostra a Milano


Claude Monet nel 1890 acquistò a Giverny, lungo la Senna, una casa con un terreno, che trasformò in un giardino acquatico giapponese. La proprietà consisteva in tre aree distinte: il giardino dei fiori, detto Clos Normand, di fronte alla facciata della casa, il giardino acquatico al di là della ferrovia, e l'orto-frutteto, coltivato in una proprietà separata, la Casa Blu. Dopo aver trascorso dieci anni a inventare le Clos Normand, e a ritrarre su tela le sue abbondanti fioriture, Monet rivolse la sua attenzione al terreno paludoso che si trovava in fondo alla proprietà, oltre la ferrovia. Comperò questa terra intrisa d'umidità e decise di creare un giardino acquatico, la parte principale era costituita da uno stagno, circondato da cotogni, felci, salici, rododendri e azalee, dove il grande pittore mise a dimora le più diverse specie di ninfee, diventando il suo giardino giapponese, oggi il più visitato al mondo (una bellissima fotogallery)


All’epoca Monet aveva cinquant’anni ed era già l’esponente più rappresentativo dell’Impressionismo, visse nella casa di Giverny per il resto della sua vita, cercando senza sosta di realizzare quella che considerò l’opera d’arte in assoluto più importante: il suo giardino.
Una magnifica ossessione che, come dirà lo stesso Monet “è una cosa che va al di là delle mie forze di vecchio”, catturandolo in una irrinunciabile sfida nel “riuscire a rendere ciò che sento”.La vita intorno a questo specchio d’acqua e soprattutto i giochi di luce che le ninfee determinavano furono l’ispirazione dei circa 200 quadri che Monet dipinse fino alla morte con quel suo particolarissimo stile di rarefazione, di evanescenza, quasi una progressiva dissoluzione della visione che caratterizzò la sua pittura nella parte finale della vita.
Quegli anni furono per Monet il tempo delle ninfee, e sono il tema della mostra allestita nelle sale di Palazzo Reale a Milano, ideata e curata da Claudia Zevi con il contributo di Jacques Taddei, Hélène Bayou, Michel Draguet, Marco Fagioli e Delfina Rattazzi.Venti grandi tele, che Monet dipinse tra il 1900 e il 1923, provenienti dal Museo Marmottan di Parigi (che in questa occasione ha effettuato il più numeroso prestito della sua storia) verranno esposte dal 29 aprile al 27 settembre.Accanto ad esse saranno in mostra anche immagini fotografiche coeve del giardino e, a rotazione (perché la delicatezza delle opere non consente un'esposizione alla luce per così tanti mesi consecutivi), 60 stampe di Hokusai e Hiroshige provenienti dal Museo Guimet di Parigi, a testimonianza del forte richiamo all'arte giapponese che ebbe un ruolo determinante nell'ultima stagione della vita del maestro impressionista. Monet non fu il solo pittore ad essere influenzato dalle produzioni giapponesi, ma è stato sicuramente il maggiore collezionista con 276 stampe nella tradizione ukiyo-e. Il suo maggiore interesse è la lettura del paesaggio e della natura attraverso un loro frammento e la serialità delle vedute, in particolare quelle del Monte Fuji e dei fiori di Hokusai, così come le serie delle acque e dei ponti di Hiroshige. Il confronto tra l’idea di paesaggio nell’arte giapponese e le opere di Monet è infine completato dall’esposizione di una serie di preziose fotografie dell’Ottocento, dipinte a mano, di giardini giapponesi.

Informazioni sulla mostra: “Monet e il Giappone. Il tempo delle Ninfee”, dal 29 aprile al 27 settembre 2009, PALAZZO REALE, Piazza Del Duomo 12 Milano; orario: lunedì 14.30 – 19.30; martedì – domenica 9.30 – 19.30; giovedì 9.30 – 22.30.
La biglietteria chiude un’ora prima. Info. tel.+39 02875672
sito web


Scene da un Patrimonio


03 May 2009
Veronica e Silvio: "Scene da un Patrimonio"


Confesso che dopo aver letto vari articoli sull'ultimo lancio di agenzia di Veronica Lario, ormai specialista nel siluro mediatico modello Bin Laden, mi sono chiesta quello che si chiederebbe ogni persona sana di mente: "Se il marito le fa così schifo, se è un arrogante fedifrago frequentatore di veline, soubrette e starlette, se non possiede valori familiari, dato che diserta pure i compleanni dei suoi figli per andare ai "diciott'anni" di estranee che lo chiamano "papi", beh perché la signora di Macherio non divorzia?".


Nemmeno le femministe più incallite de sinistra come Lidia Ravera riescono ad esimersi da certe perplessità:"Ma perché non divorzia?".


La grana per farsi una serena vecchiaia ce l'ha e i figli non avranno certamente problemi di occupazione né di carriera.


La signora non si è mai vista al seguito del marito durante i viaggi politico-diplomatici. Forse Miriam Bartolini in arte (ma quale arte?) Veronica Lario, si vergogna di aver sposato un ganassa lumbard. Forse è troppo fine per un bauscia brianzolo come il Berlusca. Forse dopo che ha frequentato un maitre à penser come il filosofo Cacciari, è difficile tornare a un cavaliere del lavoro, ricco ma parvenu, che non ha tempo di leggere neanche i libri della sua Mondadori (con l'eccezione di Elogio della pazzia, di Erasmo). Chissà...


"Faccio tutto questo per i miei figli. Poi penserò a me stessa", ha dichiarato Veronica alla stampa. Ah beh sì, sì beh... Ma allora abbiamo una novella Cornelia coi Gracchi: "'Questi sono i miei gioielli". E per i suoi tre gioielli la brava Cornelia porta dignitosamente le corna, ma poi sclera. E allora manda siluri all'Ansa sulle inadempienze del marito. E ha deciso di applicare il vecchio adagio: le corna sono come i denti: fanno male quando spuntano ma poi servono per mangiare.
Tendenza Veronica: in grado di scatenare una jihad mediatica per questioni patrimoniali. Forse non sarà stata un' attrice del calibro tale da recitare Bergman in "Scene da un matrimonio". Ma a quanto pare lo è abbastanza da recitare Scene da un Patrimonio. Poi, dopo i due siluri binladeschi (il primo a Repubblica due anni fa e il secondo recente lancio ANSA), arriva finalmente il terzo, quello definitivo: il divorzio.


Certo che i media sono delle formidabili armi di distrazione di massa. C'è la 'è crisi, c' è la pandemia suina (molto probabilmente infiltrata ad hoc), ci sono terremoti e alluvioni, stiamo finendo in braghe di tela, ma di che si parla? Soprattutto della "papi-novela".
Già, perché la 18enne napoletana al cui compleanno è andato il Berlusca lo chiamava "papi"? Il giallo-rosa s' infittisce...Avremo un Padre della Patria o un Papi d'Italia? Ai posteri l'ardua sentenza...
Sì, questo divorzio s'ha da fare, eccome. Le Scene da un Patrimonio continuano...
dal blog di Nessie

http://sauraplesio.blogspot.com/2009/05/veronica-e-silvio-scene-da-un.html

3 mag 2009

Riflessi sul fiume

Che quei riflessi non si scompiglino mai, specialmente vicino all'ospedale di Cona.

La forza della Forza di Gravità

e canterò di quel secondo regno
dove l'umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno

Oggi mi va di scherzare e fare satira.
Quante volte con Marcello abbiamo trattato della forza di gravità?
Questo, che vado a raccontare, è uno dei casi in cui si è preso sottogamba la forza della forza di gravità.

Trovare i modi per vincere la forza di gravità, è stato ed è il sogno di molti. Newton, che aveva studiato a fondo la materia, verso la fine del 1600 era riuscito a calcolare il valore della Costante Universale di Gravità G.
Non entro in Dante, perchè dovrei affrontare un passo molto ostico, quello in cui Egli immagina le anime come unite alla terra - finchè corpi umani le ospitano - da fili invisibili, rescissi i quali essa è libera di librarsi verso il cielo.
Ma i tecnici che nel 1993 hanno dato inizio ai lavori per la costruzione dell'ospedale di Ferrara, devono aver pensato che si sarebbe stati prossimi alla scoperta di qualche marchingegno umano che fosse in grado di vincere la forza di gravità. Si è da poco conclusa L'Arena, di Massimo Giletti, su Rai1, nella quale sono stati messi sotto la lente d'osservazione quattro esempi di enorme spreco di denaro pubblico. Tra questi, appunto, quello relativo agli sprechi per il nuovo ospedale di Cona (Ferrara); sprechi perchè costruito su un'area inidonea ad edificare; per costruzioni soprattutto di quel genere.L'area si trova infatti a livello zero, o meno 1, rispetto al livello del mare e rispetto al livello del fiume Po. In sala c'era anche il geologo Mario Tozzi, il quale ha affermato, senza mezzi termini, che quello era il luogo peggiore in cui si sarebbe dovuto costruire un'opera del genere. Infatti, le alluvioni di questi giorni hanno messo in evidenza il grado di pericolo cui sono soggetti gli edifici che si trovano a livello basso. L'acqua tende a correre verso il basso, ed è qui che entra in ballo la teoria sulla forza di gravità, che forse i progettisti dell'ospedale avevano creduto si potesse sconfiggere o governare.

1 mag 2009

Ho trovato questo



Avanti!
LA GRANDIOSA CELEBRAZIONE DEL PRIMO MAGGIO DI LIBERTA'
Questo Primo Maggio, che nel tumulto delle passioni evoca il sangue dei garofani, offre agli occhi di tutti una immagine cara al nostro ricordo e alla nostra speranza: l'immagine del "migliore di noi"; di Giacomo Matteotti, nel cui sacrificio si aduna e si esprime il martirio di tutto un popolo. La sua figura si protende a guida dai radiatori delle macchine dei patrioti e si affaccia a promessa alle finestre delle sedi proletarie. Ed ecco che al suo nome si associano quelli dei compagni che si sono spenti negli anni grigi e sconsolati della dittaura, morti nelle galere o sepolti nei campi di concentramento.
LA GRANDIOSA CELEBRAZIONE DEL PRIMO MAGGIO DI LIBERTA'

Milano, 1 Maggio 1945

Lavoratori, il sole di questo Primo Maggio saluta i popoli europei, che stanno risorgendo a nuova vita dopo che l'incubo della mostruosa tirannide nazifascista ha sovrastato su di loro quale minaccia di lunghi anni di asservimento. Le armate delle Nazioni Unite nella loro trionfale, inesorabile marcia, sono giunte nel cuore dell'Europa; la belva hitleriana è ormai agonizzante; la libertà, per cui combattemmo con vigorosa fede, torna a splendere sulle masse lavoratrici, che hanno conosciuto le catene di una feroce servitù. E voi Lavoratori milanesi, insorgendo compatti il 25 Aprile contro i nazisti e i resti del fascismo, avete ancora una volta provato di essere la classe più combattiva e rivoluzionaria, pronta a diventare la classe dirigente del Paese. Ma questo Primo Maggio, Lavoratori, segna non solo la fine della cruenta guerra contro il nazifascismo, bensì anche l'inizio della Vostra vera lotta. Lavoratori, questa è la vostra ora, serrate le file sotto la rossa bandiera, simbolo della vostra rivoluzione, e riprendete con certezza di vittoria il cammino del vostro riscatto. Per questo giorno, perché voi poteste riprendere la lotta per la meta più alta, il Socialismo, voi siete stati all'avanguardia della guerra di liberazione, e centinaia di vostri compagni han saputo con fierezza morire, dimostrando al mondo intero come il popolo italiano voglia e sappia riconquistare con le sue forze la libertà perduta. Lavoratori, troppe rovine vi circondano, troppo gravosi sono i compiti che vi attendono perché questo giorno dedicato alla festa del lavoro possa da voi essere salutato con cuore esultante. Non giorno di festa, ma giorno di lotta deve essere questo per voi. Un nemico vi sta sempre davanti pronto a piegarvi: la vecchia classe dirigente. Essa ha avuto la sua più tipica e violenta espressione nel fascismo e con il crollo del fascismo denuncia il suo fallimento definitivo. Tuttavia essa si ostina a rimanere aggrappata ai suoi privilegi, alle sue posizioni di dominio, e tenta sotto insegne diverse di rimontare la corrente, che sta per travolgerla, onde imporre su di voi ancora una volta il suo potere. Lavoratori, le forze della reazione non sono morte, ma strette attorno alla monarchia per sua natura conservatrice e reazionaria, tentando di sbarrarvi il cammino che conduce alla meta della vostra salvezza: il Socialismo. Voi, lavoratori, dovete affrontarlo con ferma decisione. Ma se non volete subire una nuova e fatale sconfitta, dovete rimanere uniti come un solo blocco, superando divergenze di metodi e di idee. Uniti vincerete, divisi soccomberete. Lavoratori, compagni, se questa volontà vi guiderà nella lotta contro le forze della reazione non tarderà a levarsi l'alba di un Primo Maggio, che saluterà la classe lavoratrice finalmente vittoriosa e tutta intera a ricostruire la società socialista in cui le libertà democratiche potranno trionfare e consolidarsi ed in cui il lavoro, libero di ogni catena e sfruttamento, sarà forza e gioia per ogni uomo. Lavoratori di Milano, finalmente il Primo Maggio festa dei lavoratori si celebra liberamente nella nostra città. È, quest'anno, la festa della liberazione conquistata dal popolo italiano solidale ed unito in uno sforzo mirabile. Compagni, la liberazione è la premessa per l'instaurazione dello Stato democratico cui aspiriamo. Come compatti avete vittoriosamente condotto a termine l'insurrezione, così, se resterete strettamente uniti sotto le bandiere dei due grandi partiti proletari, raggiungerete la meta delle vostre aspirazioni, condurrete la società intera verso quell'ordine sociale che costituisce la vostra più alta meta. La gravità delle prove attraverso le quali siamo passati, l'altezza dell'opera che in parte è compiuta e ancora ci attende, danno a questa prima gloriosa celebrazione del Primo Maggio una grande certezza. Guardiamo con ferma volontà all'avvenire che è riposto nella consapevolezza della missione che ci è affidata dalla storia e nell'unità della classe lavoratrice. Avanti dunque, lavoratori, versa la conquista di quelle libertà che permetteranno alla classe lavoratrice la sua emancipazione.

La festa simbolo dei lavoratori è americana, non comunista


Davide Giacalone
Pubblicato il giorno: 01/05/09
Primo maggio

Ecco un’altra ricorrenza, un’altra festa comandata della retorica, di cui s’è perso il significato e si sconosce l’origine storica. Anche oggi ci saranno cortei e comizi, ma soprattutto concerti. Ma a far ballare i giovani non è la musica, bensì un mercato del lavoro da cui, qui in Italia ed in un pezzo d’Europa, sono sempre più esclusi. Questi ragazzi non avranno il posto dei loro padri, in compenso devono pagare le loro pensioni. Ci vuol fantasia, per festeggiare.

Cominciamo con il solito imbroglio storico: la data si deve ad una legge dell’Illinois, Stati Uniti anno 1866, approvata il primo maggio. Stabiliva che la giornata lavorativa non poteva superare le otto ore. Gli americani erano assai avanti, in quanto a riconoscimento dei diritti dei lavoratori, e la Prima Internazionale (voluta da Marx) chiese che legislazioni simili fossero adottate anche in Europa.

Il 1° maggio rimase simbolico, anche perché, negli anni successivi, alcune manifestazioni di lavoratori, che festeggiavano la legge e ne reclamavano l’effettiva applicazione, finirono in scontri con molte vittime. Fu la Seconda Internazionale, al congresso di Parigi, nel 1889, a stabilire che quel giorno sarebbe stato celebrato in tutto il mondo, contemporaneamente. La seconda Internazionale era già comunista, e la terza la fondò Lenin, al Cremino, nel 1919. Fu così che la storia mise in atto uno dei suoi più feroci scherzi: la festa dei lavoratori nasce da una legge statunitense, ma diventa patrimonio dell’internazionale comunista, vale a dire di un mondo nemico dei lavoratori, dei loro diritti e della loro libertà.

Ancora adesso le bandiere sono quasi tutte rosse, in ossequio al conformismo decerebrato che accompagna gran parte della nostra narrazione pubblica. Vediamo se qualche numero riesce ad agitare le scatole craniche. I conti dell’Inps, per il 2009, sono in attivo (per 4,3 miliardi), talché può sembrare pretestuosa e petulante la continua richiesta di alzare l’età pensionabile. Se guardiamo dentro quei conti, però, scopriamo che tutte le gestioni pensionistiche sono in perdita, per un ammontare di 16,7 miliardi. In attivo ci sono solo due voci: il fondo dei lavoratori dipendenti (6,5 miliardi d’avanzo) e quello dei parasubordinati (9 miliardi). Le pensioni sono in perdita di 1,2 miliardi, ma non solo, perché le pensioni dei garantiti, compresi i dirigenti d’azienda, sono pagate con i soldi dei non garantiti, che taluni chiamano precari (termine fuorviante). A sanare i conti servono i 5,5 miliardi attivi delle prestazioni temporanee, vale a dire assegni familiari, cassa integrazione, sussidi di disoccupazione e pagamenti per i giorni di malattia.

Per le prestazioni temporanee, se la crisi continua, saranno dolori. Il fondo dei dipendenti sarà sempre meno in attivo e passerà al passivo, mano a mano che l’età media cresce, mentre quello dei parasubordinati resterà in attivo, perché è tutta gente che paga molto e non riceverà che lupini. Né, come anche autonomi e professionisti, possono sfuggire a tale sorte, perché la legge li obbliga a scucire, anche se non ne trarranno vantaggio. Solo per ragioni nominalistiche quest’obbligo non è contabilizzato nella fiscalità generale, talché la pressione fiscale reale, da noi, è più alta di quella, già vertiginosa, ufficiale. Con una differenza: io, che sono un libero professionista, pago l’Inps (non potendo fare diversamente), ma poi provvedo ad assicurarmi sulla salute e risparmiare per un fondo pensioni privato, chi, invece, subisce tutto il peso della poca elasticità nel mercato del lavoro, i parasubordinati, pagano e non resta loro un tallero per fare altro che sopravvivere.

Oggi li invitano in piazza per festeggiare, la fregatura e l’ingiustizia che subiscono. L’intero apparato della legislazione sul lavoro, invece, con le poche eccezioni delle cose pensate da Marco Biagi, è concepito per conservare le protezioni a chi le ha e, nella realtà, cresce il numero di quelli che vivono da esclusi. Ugo La Malfa disse che, se avesse avuto trenta anni di meno, avrebbe fondato il sindacato dei disoccupati, con questo sostenendo, già ai suoi tempi, che gli interessi di quei giovani non erano affatto rappresentati dai sindacati confederali. Neanche lui, che pure conosceva l’egoismo e le miserie politiche di certe maggioranze, aveva immaginato che avrebbero tolto loro i soldi per mantenere i lavoratori protetti, spesso dipendenti di società a loro volta finanziate con i soldi dello Stato.

Molti si sentiranno offesi da queste parole. Alcuni di loro scriveranno, naturalmente da anonimi e sgrammaticati, per immaginarmi servo di non si sa quali interessi. Nella gran parte sono fessi, per una quota sono disonesti, e per quel che basta pericolosi. Al loro fianco non festeggerei mai nulla, men che meno i lavoratori che non sono mai stati ed il lavoro che non hanno mai conosciuto.

www.davidegiacalone.it