29 giu 2009
Dal patriarca etiope altro annuncio choc: «Le tavole della legge di Mosè esistono»
È di una decina di giorni fa la notizia secondo cui presto il mondo potrebbe ammirare la mitica Arca dell'Alleanza descritta nella Bibbia come il contenitore in legno e oro delle Tavole della Legge che Dio consegnò a Mosè e al centro, nei secoli, di ricerche e studi.Lo ha annunciato, in un'intervista video all'Adnkronos, il Patriarca della Chiesa ortodossa d'Etiopia Abuna Pauolos, arrivato in Italia per il «G8 delle Religioni». «L'Arca dell'Alleanza - spiegava Pauolos - si trova in Etiopia da molti secoli. Come patriarca l'ho vista con i miei occhi e soltanto poche persone molto qualificate hanno potuto fare altrettanto, finora». Secondo il patriarca è custodita in una chiesa, ma per difendere quella autentica, una copia del simbolo religioso è stata collocata in ogni chiesa del Paese. Secondo alcuni studi l'Arca venne trafugata da Gerusalemme dal figlio di re Salomone e portata ad Axum, considerata la Gerusalemme d'Etiopia. E proprio ad Axum sorgerà il Museo chiamato a ospitare l'Arca, il cui progetto è stato finanziato dalla Fondazione del principe, erede designato al trono da Haile Selassie poco prima di morire, Crhijecllu, acronimo delle iniziali dei nomi dei figli del principe: Christian, Jessica, Clarissa, Lucrezia. L’Arca dell'Alleanza sarebbe capace, secondo la leggenda, di sprigionare lampi di luce divini e folgori in grado di incenerire chiunque ne fosse colpito.
Quando la scienza racconta le verità di 2mila anni di fede
Roma Quanto accaduto ieri sera con il sorprendente annuncio nella basilica di San Paolo fuori le Mura richiama immediatamente alla memoria un evento simile, accaduto il 26 giugno di 41 anni fa, quando Paolo VI, durante l’udienza generale, disse che erano state ritrovate le ossa di San Pietro. Era stato Pio XII, nel 1939, a ordinare che si scavasse sotto la basilica vaticana e a finanziare di tasca propria le ricerche. Nel 1950 l’annuncio del ritrovamento della tomba. Appariva dunque corrispondente al vero quanto affermato durante il pontificato di Papa Zefirino (199-217) dal prete romano Gaio, il quale, rivolgendosi a Proclo, seguace dell’eresia montanista, aveva scritto: «Se vorrai venire in Vaticano e sulla via Ostiense, potrai vedere i trofei (cioè le tombe, ndr) di coloro, che hanno fondato questa Chiesa», vale a dire di Pietro e Paolo. Le ricerche, continuate dall’archeologa Margherita Guarducci, portarono al ritrovamento di un’edicola funeraria appoggiata a un muro contemporaneo, risalente circa all’anno 150, prezioso per i numerosi graffiti sovrapposti, che la studiosa decifra. Tutti contengono invocazioni a Pietro al quale sono uniti talvolta i nomi di Cristo e di Maria. Fondamentale è uno di questi graffiti, risalente al 160, nel quale si legge in greco la scritta «Petros enì», «Pietro è qui dentro». La professoressa Guarducci ritrova in una cassetta, nei locali delle Grotte vaticane, le ossa che erano state raccolte nel loculo identificato come la tomba di Pietro. Le ossa, dopo essere state analizzate, risultano appartenenti a un solo uomo, di corporatura robusta, morto in età avanzata. Erano incrostate di terra e mostravano di essere state avvolte in un panno di lana colorato di porpora e intessuto d’oro, una sepoltura particolarmente preziosa. Rappresentano frammenti di tutte le ossa del corpo a esclusione del sia pur minimo frammento di quelle dei piedi. Un particolare significativo, che richiama alla mente la circostanza della crocifissione a testa in giù e gli esiti che provocava, vale a dire il distacco dei piedi, a causa della prolungata esposizione del corpo che veniva lasciato esposto sul luogo del supplizio.Così, il 26 giugno 1968, Papa Montini annuncia: «Nuove indagini pazientissime e accuratissime furono in seguito eseguite con risultato che noi, confortati dal giudizio di valenti e prudenti persone competenti, crediamo positivo: anche le reliquie di San Pietro sono state identificate in modo che possiamo ritenere convincente».Il ritrovamento e l’identificazione delle ossa di Pietro e oggi di quelle di Paolo, confermano il dato della tradizione e attestano il fondamento apostolico della Chiesa di Roma. Il pescatore di Galilea al quale Gesù secondo il racconto evangelico affidò la sua Chiesa, e l’Apostolo delle Genti, viaggiatore e predicatore instancabile, nonché «cantore della Grazia», evangelizzatore dell’Asia Minore e della Grecia e autore delle famose epistole, ritenute i più antichi documenti scritti contenenti il messaggio salvifico cristiano, sono stati dunque martirizzati entrambi a Roma, allora capitale del mondo, sotto Nerone, nell’anno 67.È interessante notare che negli ultimi cento anni, numerosissime scoperte archeologiche hanno confermato molte delle pagine scritte dai quattro evangelisti, che nel I secolo misero nero su bianco il racconto della vita e le testimonianze riguardati Gesù di Nazaret, la sua morte e la sua resurrezione. Non c’è stata una scoperta scientifica, un ritrovamento archeologico, che abbia smentito neanche un versetto del Vangelo. Dal ritrovamento della lapide a Cesarea Marittima contenente il nome di Ponzio Pilato, il prefetto di Giudea che fece crocifiggere Gesù come richiestogli dal sinedrio agli scavi portati avanti con tenacia e passione dai francescani in Terrasanta, che hanno portato alla luce le tracce della casa di Maria a Nazaret e della casa di Pietro a Cafarnao, entrambe oggetto di devozione antichissima, risalente ai primi secoli di storia cristiana. Il cristianesimo non è una filosofia, un insieme di riti o una summa di regole morali, ma un avvenimento accaduto nella storia.
22 giu 2009
21 giu 2009
Il solstizio d'estate tra miti antichi e tradizioni popolari
21 giugno, Solstizio d’Estate: in questo giorno – conosciuto come il più lungo dell’anno – il sole culmina allo zenith, ovvero si trova nel punto più alto della volta celeste. Le giornate solstiziali nelle tradizioni precristiane erano sacre e ancora oggi ciò si riflette in una festività cattolica che cade qualche giorno dopo il solstizio canonico, al 24 giugno, quando nel calendario liturgico della Chiesa latina si ricorda la natività di San Giovanni Battista. Va detto che i moderni gruppi neopagani e neodruidici celebrano tuttora il giorno di “Midsummer” (Mezza Estate, per citare Shakesperare) e i riti solstiziali che si svolgono in particolare a Stonehenge richiamano sempre migliaia di persone.I giorni solstiziali includono alcune fra le celebrazioni più popolari dell’Occidente e poiché il sole trionfa nel cielo, le antiche tradizioni collegavano questo periodo dell’anno con la comunicazione diretta fra visibile e invisibile.
Il Guardiano della SogliaIl gran numero di usanze e di piccoli rituali ancora oggi vivi in tutta Europa testimoniano che il solstizio estivo, insieme a quello invernale, resta uno dei periodi più amati e profondamente intessuti nella cultura popolare. E ai vecchi nomi ne subentrano di nuovi... per esempio, nell’antica Roma i due solstizi erano consacrati a Giano bifronte, il dio guardiano delle soglie e dei passaggi. Oggi (non è un caso) troviamo i due Giovanni, il Battista presso il solstizio d’Estate e l’Evangelista presso quello d’Inverno. I popoli antichi chiamavano i due solstizi “porte”: Porta degli Dèi o degli Immortali quello invernale, Porta degli Uomini quello estivo. Scrive Alfredo Cattabiani (in “Lunario”): «Omero descriveva nell’Odissea un misterioso antro dell’isola di Itaca nel quale si aprivano due porte. Il poeta spiegava che la porta degli uomini è rivolta a Borea, cioé a Nord (e infatti al solstizio estivo il sole si trova a nord dell’equatore celeste), mentre quella degli dèi e degli immortali è volta a Noto, ovvero a sud, perché l’astro al solstizio invernale si trova a sud dell’equatore.»
Astronomia di oggi e di ieriIl termine “Solstizio” significa “Sole stazionario” e indica che in questo momento astronomico l’astro non si alza né si abbassa rispetto all'equatore celeste. Nell’esatto mezzogiorno astronomico le ombre degli edifici e dei pali scompaiono del tutto; sempre in quest’occasione, al tropico del Cancro è possibile osservare l’immagine del disco solare nel fondo dei pozzi, riflesso dall’acqua anche a decine di metri di profondità e lo stesso fenomeno si ripete il 21 dicembre (solstizio d’inverno) al tropico del Capricorno.Un riferimento astronomico molto importante, come abbiamo visto è l’equatore celeste. Si tratta della proiezione (immaginaria) sulla volta celeste dell’equatore terrestre: è un semicerchio e mostra il percorso del sole. Durante gli equinozi (primavera e autunno) si ha parità fra giorno e notte: dodici ore di luce e altrettante di buio. In tutti gli altri giorni dell’anno il percorso giornaliero del Sole è parallelo all’equatore celeste: in primavera ed estate si ha un percorso maggiore dell’equatore celeste, quindi il giorno prevale sulla notte, in autunno e inverno accade esattamente il contrario.
Fuochi sulle montagne d’EuropaIl fascino della festa patronale dedicata a S. Giovanni risiede ancora oggi nei fuochi che si accendevano (e da qualche parte tuttora si accendono), facendo ardere mucchietti di resina, per andare poi a osservarli da lontano, la sera. Fino a qualche decennio fa, i fuochi di San Giovanni venivano accesi in tutta la Valle Camonica, soprattutto dai paesi collocati più in alto, in modo che potessero essere ben visibili da lontano. Questi falò continuano la tradizione di antichi riti pagani legati al solstizio d'estate: sono praticati dall'Irlanda alla Russia, dalla Svezia alla Grecia e alla Spagna. Documenti del XVI secolo testimoniano tale consuetudine in quasi tutti i paesi della Germania; i rituali intorno al fuoco erano connessi alla fertilità del raccolto, alla salute, alla buona sorte, a proteggere dai fulmini. In Austria, nel Salzkammergut e nella zona di Bad Goisern vicino ad Hallstatt (culla dei Celti della prima Età del Ferro) si usa ancor oggi accendere grandi falò sui fianchi delle montagne la sera del 23 giugno; celebrazione analoga è lo Highlight, un immane falò solstiziale che viene acceso a Schwarzenbach durante il Keltenfest, la festa dei Celti. Nell’antica Gallia, durante i giorni solstiziali si accendevano i fuochi sui monti dedicandoli al dio Belen (o Belenos, di cui abbiamo parlato nella pagina dedicata a Beltane).
Ruote di fuocoPer alcuni la festa di S. Giovanni sarebbe la trasformazione di un antico culto solare (un riferimento preciso è reperibile nella festa romana del 24 giugno indicata come “solstitium” o “campas”), che rivela quindi radici profonde nella tradizione rituale precristiana. Molto importante non dimenticare il legame con l’antica società agraria, che con il culto del sole aveva un forte legame simbolico. Un esempio del culto solare in ambito agricolo è rappresentato dal tradizionale gioco delle “ruzzole” praticato nell’Appennino modenese (ma attestato con piccole varianti anche in altre aree). Questa tradizione, che qualcuno vuole celtica e qualcun altro pre-celtica, ha trovato la sua massima espressione nel lancio di grandi ruote di legno accese e non di rado inghirlandate. Secondo Frazer (in “Il Ramo d’oro”), «si riferisce al ciclo discendente del sole, avente inizio nella data rituale in questione e risponde all’intento di sfondare ritualmente il nuovo anno astronomico dando, in senso magico, il via a un favorevole corso del sole, identificato nella ruota».Il lancio delle ruote infuocate è ancora vivo con le “cìdulis” delle Alpi orientali del Friuli; normalmente, prima di lanciare la sua “cìdule”, il lanciatore grida «vòdi cheste cìdule onor di...» (dedico questa ruota di fuoco in onore a...) e accompagna l’esclamazione con il nome del santo festeggiato (il rituale, rifiorito in tempi recenti, si può ripetere anche in occasione dell‘Epifania e di vari santi patroni locali). Queste ruote avvolte di paglia e incendiate, di cui si trova esempio anche in altre aree europee e spesso collegate al falò rituale, sono state interpretate come tentativi di ricostruzione simbolica del ciclo solare.
Danze intorno al falòNonostante la demonizzazione secolare dei culti agresti (ancora oggi si mormora che nella notte di S. Giovanni le streghe celebrerebbero i propri rituali), alcuni aspetti tipici di questa festa pagana non si sono spenti e hanno mantenuto una propria vitalità, conservando alcune caratteristiche: oltre ai fuochi, le sfilate, le danze, i giochi, il coinvolgimento collettivo in genere e soprattutto intorno al gran falò finale. Un’altra pratica legata a S. Giovanni è la danza intorno alle grandi pietre megalitiche, considerate cariche di poteri magici. Da sempre, con il fuoco si mettono in fuga le tenebre e con esse gli spiriti maligni, le streghe e i demoni vaganti nel cielo. Intorno ai fuochi dunque si danzava e si cantava, e nella notte magica avvenivano prodigi: le acque trovavano voci e parole cristalline, le fiamme disegnavano nell'aria scura promesse d'amore e di fortuna...
Raccolta di erbeTrascorrendo la notte nelle piazze e in campagna, presso fonti e fiumi, non solo si cantava e si danzava per tutta la notte, ma si prediceva la sorte e si raccoglievano erbe e foglie che venivano battezzate nelle acque da compari e comari, per essere poi devotamente appese in casa, appese alle pareti, per un intero anno.Le erbe raccolte nella notte di S. Giovanni erano ritenute speciali, le più adatte per preparare pozioni magiche e medicamentose, potenti filtri, e per preparare incantesimi. Non va considerata un’idea superstiziosa, ma piuttosto la consapevolezza (dovuta anche alla pratica) che solo in alcuni giorni dell’anno era possibile ottenere i massimi principi attivi (effetto balsamico) dai poteri vegetali. Le tradizioni erboristiche antiche rivelano infatti una matura conoscenza della fitoterapia e soprattutto la capacità di creare una simbiosi favorevole con la natura. In questa magica notte, oltre alla raccolta delle erbe, era d’uso anche bagnarsi gli arti sofferenti con la rugiada. Uomini e donne che rotolavano nudi nei prati per assorbire il potere della rugiada di S. Giovanni crearono un’atmosfera facilmente demonizzabile dall’autorità ecclesiastica, che in questa pratica individuò una manifestazione stregonesca. A tale proposito, si ricorda un Editto pubblicato a Roma il 17 giugno 1755, dal Vicario Marco Antonio Colonna, il quale avvertiva di vigilare e contenere gli «abusi che si commettono nella notte della vigilia di San Giovanni Battista» ricordando che «contro i trasgressori si procederà anche per inquisizione».Concludiamo con i fiori cari a San Giovanni: l'artemisia, l'arnica, le bacche rosso fuoco del ribes, l’erica e la verbena, della quale è credenza diffusa che, colta a mezzanotte della vigilia di San Giovanni, costituisca un'infallibile protezione contro i fulmini, ed è conosciuta in Bretagna come “erba della croce”, perché si ritiene che protegga chi la porta con sé da qualsiasi male; è nota anche come "erba della doppia vista" perché il berne un infuso facilita la visione di realtà altrimenti nascoste.
Domenica 21 Giugno 2009
Il Guardiano della SogliaIl gran numero di usanze e di piccoli rituali ancora oggi vivi in tutta Europa testimoniano che il solstizio estivo, insieme a quello invernale, resta uno dei periodi più amati e profondamente intessuti nella cultura popolare. E ai vecchi nomi ne subentrano di nuovi... per esempio, nell’antica Roma i due solstizi erano consacrati a Giano bifronte, il dio guardiano delle soglie e dei passaggi. Oggi (non è un caso) troviamo i due Giovanni, il Battista presso il solstizio d’Estate e l’Evangelista presso quello d’Inverno. I popoli antichi chiamavano i due solstizi “porte”: Porta degli Dèi o degli Immortali quello invernale, Porta degli Uomini quello estivo. Scrive Alfredo Cattabiani (in “Lunario”): «Omero descriveva nell’Odissea un misterioso antro dell’isola di Itaca nel quale si aprivano due porte. Il poeta spiegava che la porta degli uomini è rivolta a Borea, cioé a Nord (e infatti al solstizio estivo il sole si trova a nord dell’equatore celeste), mentre quella degli dèi e degli immortali è volta a Noto, ovvero a sud, perché l’astro al solstizio invernale si trova a sud dell’equatore.»
Astronomia di oggi e di ieriIl termine “Solstizio” significa “Sole stazionario” e indica che in questo momento astronomico l’astro non si alza né si abbassa rispetto all'equatore celeste. Nell’esatto mezzogiorno astronomico le ombre degli edifici e dei pali scompaiono del tutto; sempre in quest’occasione, al tropico del Cancro è possibile osservare l’immagine del disco solare nel fondo dei pozzi, riflesso dall’acqua anche a decine di metri di profondità e lo stesso fenomeno si ripete il 21 dicembre (solstizio d’inverno) al tropico del Capricorno.Un riferimento astronomico molto importante, come abbiamo visto è l’equatore celeste. Si tratta della proiezione (immaginaria) sulla volta celeste dell’equatore terrestre: è un semicerchio e mostra il percorso del sole. Durante gli equinozi (primavera e autunno) si ha parità fra giorno e notte: dodici ore di luce e altrettante di buio. In tutti gli altri giorni dell’anno il percorso giornaliero del Sole è parallelo all’equatore celeste: in primavera ed estate si ha un percorso maggiore dell’equatore celeste, quindi il giorno prevale sulla notte, in autunno e inverno accade esattamente il contrario.
Fuochi sulle montagne d’EuropaIl fascino della festa patronale dedicata a S. Giovanni risiede ancora oggi nei fuochi che si accendevano (e da qualche parte tuttora si accendono), facendo ardere mucchietti di resina, per andare poi a osservarli da lontano, la sera. Fino a qualche decennio fa, i fuochi di San Giovanni venivano accesi in tutta la Valle Camonica, soprattutto dai paesi collocati più in alto, in modo che potessero essere ben visibili da lontano. Questi falò continuano la tradizione di antichi riti pagani legati al solstizio d'estate: sono praticati dall'Irlanda alla Russia, dalla Svezia alla Grecia e alla Spagna. Documenti del XVI secolo testimoniano tale consuetudine in quasi tutti i paesi della Germania; i rituali intorno al fuoco erano connessi alla fertilità del raccolto, alla salute, alla buona sorte, a proteggere dai fulmini. In Austria, nel Salzkammergut e nella zona di Bad Goisern vicino ad Hallstatt (culla dei Celti della prima Età del Ferro) si usa ancor oggi accendere grandi falò sui fianchi delle montagne la sera del 23 giugno; celebrazione analoga è lo Highlight, un immane falò solstiziale che viene acceso a Schwarzenbach durante il Keltenfest, la festa dei Celti. Nell’antica Gallia, durante i giorni solstiziali si accendevano i fuochi sui monti dedicandoli al dio Belen (o Belenos, di cui abbiamo parlato nella pagina dedicata a Beltane).
Ruote di fuocoPer alcuni la festa di S. Giovanni sarebbe la trasformazione di un antico culto solare (un riferimento preciso è reperibile nella festa romana del 24 giugno indicata come “solstitium” o “campas”), che rivela quindi radici profonde nella tradizione rituale precristiana. Molto importante non dimenticare il legame con l’antica società agraria, che con il culto del sole aveva un forte legame simbolico. Un esempio del culto solare in ambito agricolo è rappresentato dal tradizionale gioco delle “ruzzole” praticato nell’Appennino modenese (ma attestato con piccole varianti anche in altre aree). Questa tradizione, che qualcuno vuole celtica e qualcun altro pre-celtica, ha trovato la sua massima espressione nel lancio di grandi ruote di legno accese e non di rado inghirlandate. Secondo Frazer (in “Il Ramo d’oro”), «si riferisce al ciclo discendente del sole, avente inizio nella data rituale in questione e risponde all’intento di sfondare ritualmente il nuovo anno astronomico dando, in senso magico, il via a un favorevole corso del sole, identificato nella ruota».Il lancio delle ruote infuocate è ancora vivo con le “cìdulis” delle Alpi orientali del Friuli; normalmente, prima di lanciare la sua “cìdule”, il lanciatore grida «vòdi cheste cìdule onor di...» (dedico questa ruota di fuoco in onore a...) e accompagna l’esclamazione con il nome del santo festeggiato (il rituale, rifiorito in tempi recenti, si può ripetere anche in occasione dell‘Epifania e di vari santi patroni locali). Queste ruote avvolte di paglia e incendiate, di cui si trova esempio anche in altre aree europee e spesso collegate al falò rituale, sono state interpretate come tentativi di ricostruzione simbolica del ciclo solare.
Danze intorno al falòNonostante la demonizzazione secolare dei culti agresti (ancora oggi si mormora che nella notte di S. Giovanni le streghe celebrerebbero i propri rituali), alcuni aspetti tipici di questa festa pagana non si sono spenti e hanno mantenuto una propria vitalità, conservando alcune caratteristiche: oltre ai fuochi, le sfilate, le danze, i giochi, il coinvolgimento collettivo in genere e soprattutto intorno al gran falò finale. Un’altra pratica legata a S. Giovanni è la danza intorno alle grandi pietre megalitiche, considerate cariche di poteri magici. Da sempre, con il fuoco si mettono in fuga le tenebre e con esse gli spiriti maligni, le streghe e i demoni vaganti nel cielo. Intorno ai fuochi dunque si danzava e si cantava, e nella notte magica avvenivano prodigi: le acque trovavano voci e parole cristalline, le fiamme disegnavano nell'aria scura promesse d'amore e di fortuna...
Raccolta di erbeTrascorrendo la notte nelle piazze e in campagna, presso fonti e fiumi, non solo si cantava e si danzava per tutta la notte, ma si prediceva la sorte e si raccoglievano erbe e foglie che venivano battezzate nelle acque da compari e comari, per essere poi devotamente appese in casa, appese alle pareti, per un intero anno.Le erbe raccolte nella notte di S. Giovanni erano ritenute speciali, le più adatte per preparare pozioni magiche e medicamentose, potenti filtri, e per preparare incantesimi. Non va considerata un’idea superstiziosa, ma piuttosto la consapevolezza (dovuta anche alla pratica) che solo in alcuni giorni dell’anno era possibile ottenere i massimi principi attivi (effetto balsamico) dai poteri vegetali. Le tradizioni erboristiche antiche rivelano infatti una matura conoscenza della fitoterapia e soprattutto la capacità di creare una simbiosi favorevole con la natura. In questa magica notte, oltre alla raccolta delle erbe, era d’uso anche bagnarsi gli arti sofferenti con la rugiada. Uomini e donne che rotolavano nudi nei prati per assorbire il potere della rugiada di S. Giovanni crearono un’atmosfera facilmente demonizzabile dall’autorità ecclesiastica, che in questa pratica individuò una manifestazione stregonesca. A tale proposito, si ricorda un Editto pubblicato a Roma il 17 giugno 1755, dal Vicario Marco Antonio Colonna, il quale avvertiva di vigilare e contenere gli «abusi che si commettono nella notte della vigilia di San Giovanni Battista» ricordando che «contro i trasgressori si procederà anche per inquisizione».Concludiamo con i fiori cari a San Giovanni: l'artemisia, l'arnica, le bacche rosso fuoco del ribes, l’erica e la verbena, della quale è credenza diffusa che, colta a mezzanotte della vigilia di San Giovanni, costituisca un'infallibile protezione contro i fulmini, ed è conosciuta in Bretagna come “erba della croce”, perché si ritiene che protegga chi la porta con sé da qualsiasi male; è nota anche come "erba della doppia vista" perché il berne un infuso facilita la visione di realtà altrimenti nascoste.
Domenica 21 Giugno 2009
tratto da Trigallia.com
17 giu 2009
In risposta a Marshall
Sono anch’io una terremotata Ma non sono scesa in piazza
Rita Mastracciterremotata Dell’aquila
Pubblicato il giorno: 17/06/09
Lettera contro la protesta del Pd
È naturale per ogni persona pensare alla propria vita proiettandola nel futuro, sia immediato che più esteso nel tempo; forse proprio il concetto stesso di vita comprende necessariamente quello di tempo: (...)
(...) tempo per vivere. Ma per noi aquilani, che dal 6 aprile, nel giro di 30 secondi, abbiamo toccato con mano la facilità della morte e quasi la casualità del restare in vita, il concetto di tempo si è pressoché dissolto. Non ci appartiene più. È semplicemente impossibile fare una pianificazione per un periodo che possa dirsi ragionevole.
Io sono una sfollata sulla costa adriatica. Essere stata accolta, subito dopo il sisma, in una struttura alberghiera, in cui è possibile godere di uno spazio personale piccolo ma assolutamente “vitale”, ed essere accudita da persone gentili e disponibili, mi ha salvato dalla depressione. Ma non è facile vivere “sospesi”. L’incertezza del tempo rende impotenti, eppure siamo consapevoli di come non ci sia tempo da perdere, di come tutto vada deciso in fretta. Per le correzioni in corso d’opera, magari si vedrà. L’essenziale è iniziare.
Per questo sono grata al premier. Anche se non sono mai stata una “berlusconiana”, devo riconoscere al Cavaliere di essere un creativo e di dare il meglio proprio in situazioni di emergenza, laddove si richiedono doti imprenditoriali. Non sono andata alla manifestazione di Roma, un’iniziativa fuori luogo e appunto fuori tempo, proprio per fiducia nei confronti del capo del governo, che ha anche spostato la sede del G8. Ha sempre detto di essere per una politica del “fare” contro il “teatrino”, con tutti i giochetti di parte e controparte. Soprattutto, all’Aquila si è esposto di persona, come uomo, ha messo in campo sentimenti che ci toccano nel profondo: ha giurato dinanzi alle bare che L’Aquila sarà ricostruita. Spergiuro sulla sacralità della morte? Non ci credo.
Certo, ci sono difficoltà oggettive e la bacchetta magica non ce l’ha nessuno. Ricostruire L’Aquila non è come costruire Milano 2. Servono molti soldi, tempo e un grande impegno anche culturale, specie per il centro storico. Non si può ricominciare a vivere senza la memoria del passato che significa radici, identità, valori. Ricostruzione significa “recupero” e “restauro” di tutto il patrimonio artistico oltre che restituzione a ogni singolo cittadino dei propri beni distrutti, ripresa economica e di nuovo vita di relazione. Anche la volontà e l’impegno della gente sarà fondamentale.
Certo, senza soldi sicuri non si fa nulla. Ha ragione chi chiedeva a Berlusconi di lasciar perdere il Ponte sullo Stretto a favore dei terremotati. Credo che per consegnare il suo nome alla storia basterebbe a Berlusconi ricostruire L’Aquila. Forse proprio per questo l’opposizione gli mette molti bastoni tra le ruote, agita masse e organizza pullman...
Il Cavaliere ha già detto che la gestione statale dei soldi non sarà troppo... statalista. Nel senso che al privato cittadino si darà spazio nella scelta di tecnici e imprese. Che le direttive partano dal governo, più che dai politici locali, forse è un bene: si eviteranno strumentalizzazioni e prese di posizione di parte a ritardare i lavori. Forza Silvio, falli impazzire definitivamente: inizia da domani con atti e fatti concreti a ricostruire.
Rita Mastracciterremotata Dell’aquila
Pubblicato il giorno: 17/06/09
Lettera contro la protesta del Pd
È naturale per ogni persona pensare alla propria vita proiettandola nel futuro, sia immediato che più esteso nel tempo; forse proprio il concetto stesso di vita comprende necessariamente quello di tempo: (...)
(...) tempo per vivere. Ma per noi aquilani, che dal 6 aprile, nel giro di 30 secondi, abbiamo toccato con mano la facilità della morte e quasi la casualità del restare in vita, il concetto di tempo si è pressoché dissolto. Non ci appartiene più. È semplicemente impossibile fare una pianificazione per un periodo che possa dirsi ragionevole.
Io sono una sfollata sulla costa adriatica. Essere stata accolta, subito dopo il sisma, in una struttura alberghiera, in cui è possibile godere di uno spazio personale piccolo ma assolutamente “vitale”, ed essere accudita da persone gentili e disponibili, mi ha salvato dalla depressione. Ma non è facile vivere “sospesi”. L’incertezza del tempo rende impotenti, eppure siamo consapevoli di come non ci sia tempo da perdere, di come tutto vada deciso in fretta. Per le correzioni in corso d’opera, magari si vedrà. L’essenziale è iniziare.
Per questo sono grata al premier. Anche se non sono mai stata una “berlusconiana”, devo riconoscere al Cavaliere di essere un creativo e di dare il meglio proprio in situazioni di emergenza, laddove si richiedono doti imprenditoriali. Non sono andata alla manifestazione di Roma, un’iniziativa fuori luogo e appunto fuori tempo, proprio per fiducia nei confronti del capo del governo, che ha anche spostato la sede del G8. Ha sempre detto di essere per una politica del “fare” contro il “teatrino”, con tutti i giochetti di parte e controparte. Soprattutto, all’Aquila si è esposto di persona, come uomo, ha messo in campo sentimenti che ci toccano nel profondo: ha giurato dinanzi alle bare che L’Aquila sarà ricostruita. Spergiuro sulla sacralità della morte? Non ci credo.
Certo, ci sono difficoltà oggettive e la bacchetta magica non ce l’ha nessuno. Ricostruire L’Aquila non è come costruire Milano 2. Servono molti soldi, tempo e un grande impegno anche culturale, specie per il centro storico. Non si può ricominciare a vivere senza la memoria del passato che significa radici, identità, valori. Ricostruzione significa “recupero” e “restauro” di tutto il patrimonio artistico oltre che restituzione a ogni singolo cittadino dei propri beni distrutti, ripresa economica e di nuovo vita di relazione. Anche la volontà e l’impegno della gente sarà fondamentale.
Certo, senza soldi sicuri non si fa nulla. Ha ragione chi chiedeva a Berlusconi di lasciar perdere il Ponte sullo Stretto a favore dei terremotati. Credo che per consegnare il suo nome alla storia basterebbe a Berlusconi ricostruire L’Aquila. Forse proprio per questo l’opposizione gli mette molti bastoni tra le ruote, agita masse e organizza pullman...
Il Cavaliere ha già detto che la gestione statale dei soldi non sarà troppo... statalista. Nel senso che al privato cittadino si darà spazio nella scelta di tecnici e imprese. Che le direttive partano dal governo, più che dai politici locali, forse è un bene: si eviteranno strumentalizzazioni e prese di posizione di parte a ritardare i lavori. Forza Silvio, falli impazzire definitivamente: inizia da domani con atti e fatti concreti a ricostruire.
16 giu 2009
Ingratitudine
La protesta di oggi dei terremotati abruzzesi davanti a Montecitorio, fa pentire quanti si sono prodigati per loro, e quanti hanno loro inviato offerte per la ricostruzione. Al sentire notizie di tale tenore, chi finora ha provato sentimenti di vicinanza con costoro, ora ne sente ripugnanza per l'ingratitudine di cui si fanno manifesti.
Ho una certa età e ho visto dal vivo l'alluvione di Firenze, i terremoti del Belice, dell'Irpinia e del Friuli. Mai, quei terremotati e alluvionati hanno potuto godere e beneficiare di tante attenzioni, premure, aiuti a cascata come in questa occasione. Sentire poi che "tante donne abruzzesi stanno preparando per il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, un'accoglienza indimenticabile per il G8, che tutto il mondo potrà vedere", fa proprio cader le braccia.
E' capitato a loro, come poteva capitare a chiunque altro di noi, ma che loro sembra vogliano approfittare nel volere di tutto e di più dallo stato, questo non va affatto bene. E' come se un malato cronico se la prenda con il mondo per la sua malattia, e, vedendosi poi attorniato di gentilezze e cortesie, pretenda poi da loro fin quasi l'impossibile. Ad un certo punto quel malato verrà lasciato solo e abbandonato al proprio destino.
Il proverbio: "aiutati, che il ciel t'aiuta" è proprio indicato per i malati cronici e per chi ha subito tragedie, come gli abitanti dell'Aquila. Se poi, invece, costoro anzichè essere grati e riconoscenti si fanno sobillare dai fomentatori e dai seminatori di discordie, diventerà peggio per loro, perchè alla fine si ritroveranno soli e abbandonati.
Ho una certa età e ho visto dal vivo l'alluvione di Firenze, i terremoti del Belice, dell'Irpinia e del Friuli. Mai, quei terremotati e alluvionati hanno potuto godere e beneficiare di tante attenzioni, premure, aiuti a cascata come in questa occasione. Sentire poi che "tante donne abruzzesi stanno preparando per il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, un'accoglienza indimenticabile per il G8, che tutto il mondo potrà vedere", fa proprio cader le braccia.
E' capitato a loro, come poteva capitare a chiunque altro di noi, ma che loro sembra vogliano approfittare nel volere di tutto e di più dallo stato, questo non va affatto bene. E' come se un malato cronico se la prenda con il mondo per la sua malattia, e, vedendosi poi attorniato di gentilezze e cortesie, pretenda poi da loro fin quasi l'impossibile. Ad un certo punto quel malato verrà lasciato solo e abbandonato al proprio destino.
Il proverbio: "aiutati, che il ciel t'aiuta" è proprio indicato per i malati cronici e per chi ha subito tragedie, come gli abitanti dell'Aquila. Se poi, invece, costoro anzichè essere grati e riconoscenti si fanno sobillare dai fomentatori e dai seminatori di discordie, diventerà peggio per loro, perchè alla fine si ritroveranno soli e abbandonati.
15 giu 2009
Massacrati perché stranieri e missionari
Li hanno massacrati tutti e nove, compreso i tre bambini. Le donne come ultimo sfregio sono state mutilate.Si è concluso così il rapimento dei nove occidentali scomparsi venerdì in Yemen, l’ipotesi più probabile, visto che sono stati giustiziati immediatamente dopo il rapimento e le donne mutilate, fanno pensare alla componente locale qaedista che ha minacciato i turisti: “non venite nello Yemen o sarete dei bersagli”. E’ già accaduto, infatti che stranieri siano stati attaccati con kamikaze ed autobombe dai terroristi fondamentalisti che sono in continua crescita. Inoltre alcune delle vittime appartenevano ad una missione evangelica, un aspetto che non può assolutamente essere sottovalutato.In un comunicato diffuso a marzo, dopo un attentato contro un gruppo di sudcoreani, i terroristi fondamentalisti avevano detto chiaro e tondo: “Portano la corruzione nella nostra terra e giocano un ruolo pericoloso nella diffusione del cristianesimo”.
Il gruppo é stato sequestrato da uomini armati mentre faceva un pic-nic nei pressi di Saada, nel nord dello Yemen. I sei adulti uccisi facevano parte di un'organizzazione internazionale che da 35 anni opera nell'ospedale di Saada, la provincia dove è avvenuto il sequestro al confine con l'Arabia Saudita.“È un atto vile che ha preso di mira innocenti ospiti dello Yemen, giunti per fornire servizi umani ai suoi cittadini”, ha commentato un funzionario yemenita.E io mi domando come si possa coinvolgere dei bambini in avventure così pericolose portandoli anche a pic-nic in luoghi deserti e terreno di caccia di predoni ed estremisti, ben sapendo che questi ultimi non hanno pietà per nessuno.Un paese dove le donne vanno in giro vestite come fantasmi neri, di cui s'intravvede a mala pena gli occhi.
E con questi precedenti: -Tre medici americani muoiono in un attacco di estremisti islamici al Baptist Hospital di Jipla, a sud di Sanaa; un quarto riporta gravi ferite. -Un'autobomba esplode al passaggio di una carovana di turisti nella regione orientale di Marib; muoiono sette spagnoli e due autisti yemenita. -In un attacco a un gruppo di turisti vengono uccisi due cittadini belgi e uno yemenita.-Colpi di mortaio nel centro di Sanaa, vicino all'ambasciata Usa, muoiono un poliziotto e una studentessa. L'attacco e' rivendicato da Al Qaeda. -Razzi contro un quartiere residenziale di Sanaa, abitato da petrolieri americani e da altri stranieri. Subito dopo, l'ambasciata Usa nello Yemen ordina lo sgombero dello staff non essenziale; l'attacco è rivendicato dalle brigate di Al Qaeda Jund Al-Yemen. -Kamikaze si fa esplodere al passaggio di una carovana di turisti a Shibam, nel sud-est. Muoiono quattro sudcoreani.
Il gruppo é stato sequestrato da uomini armati mentre faceva un pic-nic nei pressi di Saada, nel nord dello Yemen. I sei adulti uccisi facevano parte di un'organizzazione internazionale che da 35 anni opera nell'ospedale di Saada, la provincia dove è avvenuto il sequestro al confine con l'Arabia Saudita.“È un atto vile che ha preso di mira innocenti ospiti dello Yemen, giunti per fornire servizi umani ai suoi cittadini”, ha commentato un funzionario yemenita.E io mi domando come si possa coinvolgere dei bambini in avventure così pericolose portandoli anche a pic-nic in luoghi deserti e terreno di caccia di predoni ed estremisti, ben sapendo che questi ultimi non hanno pietà per nessuno.Un paese dove le donne vanno in giro vestite come fantasmi neri, di cui s'intravvede a mala pena gli occhi.
E con questi precedenti: -Tre medici americani muoiono in un attacco di estremisti islamici al Baptist Hospital di Jipla, a sud di Sanaa; un quarto riporta gravi ferite. -Un'autobomba esplode al passaggio di una carovana di turisti nella regione orientale di Marib; muoiono sette spagnoli e due autisti yemenita. -In un attacco a un gruppo di turisti vengono uccisi due cittadini belgi e uno yemenita.-Colpi di mortaio nel centro di Sanaa, vicino all'ambasciata Usa, muoiono un poliziotto e una studentessa. L'attacco e' rivendicato da Al Qaeda. -Razzi contro un quartiere residenziale di Sanaa, abitato da petrolieri americani e da altri stranieri. Subito dopo, l'ambasciata Usa nello Yemen ordina lo sgombero dello staff non essenziale; l'attacco è rivendicato dalle brigate di Al Qaeda Jund Al-Yemen. -Kamikaze si fa esplodere al passaggio di una carovana di turisti a Shibam, nel sud-est. Muoiono quattro sudcoreani.
14 giu 2009
Congiura contro Berlusconi? D'Alema e l'arte della guerra
In questi giorni prima Berlusconi, poi diversi uomini politici hanno affermato che sarebbero in corso delle manovre dirette a far cadere il governo, ed a sostituire il presidente del Consiglio con un altro, il quale sarebbe Mario Draghi, almeno a detta di Cossiga. La concentrazione in poche tempo di episodi come il "caso Mills", il "caso Noemi", e la questione degli aerei di Stato sarebbero, a detta di alcuni, indici del progredire di tale intrigo.
Massimo D’Alema al riguardo ha detto che "l'opposizione sia pronta in caso di scosse", poiché "nella vicenda italiana potranno avvenire delle scosse", precisando come "scosse significa momenti di conflitto, difficoltà anche imprevedibili. Del resto, le scosse sono così, imprevedibili" e poi "Questo richiede che l'opposizione sia in grado di assumersi le proprie responsabilità e anche che sia nella pienezza delle sue funzioni".
Il discorso dalemiano pare alludere oscuramente e velatamente alla possibilità che Berlusconi venga disarcionato, senza per questo precisare come. Nel caso che sia realmente in corso una sorta di "congiura", secondo alcuni commentatori essa potrebbe servirsi di differenti armi, quali un intervento della magistratura, oppure un abbandono del governo da parte di suoi alleati.
A parere del sottoscritto, la prima eventualità è un'arma spuntata, poiché Berlusconi ha resistito a 15 anni di processi, senza per questo essere vinto, anzi uscendone quasi politicamente rafforzato. E' un poco come "gridare al lupo": alla lunga, non si viene creduti.
Anche la seconda appare al momento difficile. La popolarità del governo è al massimo, mentre l'opposizione è ai suoi minimi storici. AN e FI si sono unite in un solo partito, mentre la Lega è ormai da moltissimi anni alleata di Berlusconi, e sta ottenendo da questa legislatura risultati importanti per il proprio elettorato: non gli converrebbe certo "cambiare cavallo", passando da un PDL fortissimo ad un PD malato se non moribondo.
E’ possibile invece che D’Alema stia applicando uno dei principi dell’arte cinese della guerra, che all’incirca suona nel seguente modo. Se un sovrano è in guerra con un altro, che possiede un validissimo generale, un buon modo per colpirlo è quello di spargere abilmente la voce che questi è un traditore del suo re, in combatte con il monarca nemico. In questo modo si può ottenere che il sovrano elimini il proprio miglior comandante.Annunciare pubblicamente un intrigo di palazzo diretto a far cadere Berlusconi ha senso soltanto se si vuole aizzare gli uni contro gli altri i membri della maggioranza, ed ispirare in essi sfiducia reciproca. Altrimenti, sortirebbe il solo effetto di rendere ancora più cauto ed attento il presidente del consiglio, ciò che sarebbe controproducente per la “congiura”.
Massimo D’Alema al riguardo ha detto che "l'opposizione sia pronta in caso di scosse", poiché "nella vicenda italiana potranno avvenire delle scosse", precisando come "scosse significa momenti di conflitto, difficoltà anche imprevedibili. Del resto, le scosse sono così, imprevedibili" e poi "Questo richiede che l'opposizione sia in grado di assumersi le proprie responsabilità e anche che sia nella pienezza delle sue funzioni".
Il discorso dalemiano pare alludere oscuramente e velatamente alla possibilità che Berlusconi venga disarcionato, senza per questo precisare come. Nel caso che sia realmente in corso una sorta di "congiura", secondo alcuni commentatori essa potrebbe servirsi di differenti armi, quali un intervento della magistratura, oppure un abbandono del governo da parte di suoi alleati.
A parere del sottoscritto, la prima eventualità è un'arma spuntata, poiché Berlusconi ha resistito a 15 anni di processi, senza per questo essere vinto, anzi uscendone quasi politicamente rafforzato. E' un poco come "gridare al lupo": alla lunga, non si viene creduti.
Anche la seconda appare al momento difficile. La popolarità del governo è al massimo, mentre l'opposizione è ai suoi minimi storici. AN e FI si sono unite in un solo partito, mentre la Lega è ormai da moltissimi anni alleata di Berlusconi, e sta ottenendo da questa legislatura risultati importanti per il proprio elettorato: non gli converrebbe certo "cambiare cavallo", passando da un PDL fortissimo ad un PD malato se non moribondo.
E’ possibile invece che D’Alema stia applicando uno dei principi dell’arte cinese della guerra, che all’incirca suona nel seguente modo. Se un sovrano è in guerra con un altro, che possiede un validissimo generale, un buon modo per colpirlo è quello di spargere abilmente la voce che questi è un traditore del suo re, in combatte con il monarca nemico. In questo modo si può ottenere che il sovrano elimini il proprio miglior comandante.Annunciare pubblicamente un intrigo di palazzo diretto a far cadere Berlusconi ha senso soltanto se si vuole aizzare gli uni contro gli altri i membri della maggioranza, ed ispirare in essi sfiducia reciproca. Altrimenti, sortirebbe il solo effetto di rendere ancora più cauto ed attento il presidente del consiglio, ciò che sarebbe controproducente per la “congiura”.
13 giu 2009
Contrordine dal Cairo, non si pubblicano autori israelian
Ieri avevamo ripreso la notizia che l'Egitto aveva finalmente deciso di tradurre alcuni autori israeliani, facendola seguire da un " ohibò " quale nostro commento. Facevamo bene a stupirci. Infatti è arrivata subito la smentita, uscita sul DAILY NEWS EGYPT, che accusa l'agenzia FRANCE PRESS di falso. Chi si era illuso che la cultura egiziana, controllata da Farouk Hosny (per saperne di più su di lui, vedere nel nostro archivio) avesse cambiato registro, si prepari ad una attesa che temiamo ancora lunga. Ecco il testo uscito sul giornale egiziano in lingua inglese:
CAIRO: A culture ministry official has denied reports that Egypt will publish Arabic translations of novels by renowned Israeli writers Amos Oz and David Grossman for the first time. An official at the head of the translations center Gaber Asfour's office told Daily News Egypt in a telephone interview that a report by Agence France-Presse (AFP) was false. In an AFP article published Thursday, Asfour was quoted as saying, "I hope to have signed an agreement with their English and French publishers by early July, without going via the Israeli publishers," referring to the works of Oz and Grossman.
Farouk Hosny, "se vedo un libro israeliano, lo brucio con le mie mani", è la dichiarazione del Ministro della Cultura egiziano.
CAIRO: A culture ministry official has denied reports that Egypt will publish Arabic translations of novels by renowned Israeli writers Amos Oz and David Grossman for the first time. An official at the head of the translations center Gaber Asfour's office told Daily News Egypt in a telephone interview that a report by Agence France-Presse (AFP) was false. In an AFP article published Thursday, Asfour was quoted as saying, "I hope to have signed an agreement with their English and French publishers by early July, without going via the Israeli publishers," referring to the works of Oz and Grossman.
Farouk Hosny, "se vedo un libro israeliano, lo brucio con le mie mani", è la dichiarazione del Ministro della Cultura egiziano.
12 giu 2009
Vietnam, convento cattolico demolito dal governo
Martedì 09 Giugno 2009 08:25 L’edificio a due piani ospitava i religiosi dell’ordine della Sacra Famiglia di Banam. Altare e statue votive gettate nella spazzatura. I beni ecclesiastici sequestrati dalle autorità per trasformarli in hotel o resort per turisti. Leader cattolici denunciano la violazione della libertà religiosa nel Paese.
Ho Chi Minh City (AsiaNews) – Il convento dei Fratelli della Sacra Famiglia di Banam, a Long Xuyen, è stato demolito per ordine del governo. La conferma arriva dal portavoce della diocesi di Long Xuyen – capoluogo della provincia di An Giang, nel sud del Vietnam – che parla di un “ordine improvviso” di abbattimento emesso dalle autorità locali. Una fine analoga a quella subita di recente dal monastero delle Suore di San Paolo di Chartres, a Vinh Long, provincia del delta del Mekong.
Il convento è stato costruito nel 1971 ed era ancora in buone condizioni; realizzato su una struttura a due piani, esso ospitava i sacerdoti dell’ordine della Sacra famiglia. L’altare e le statue votive sono state gettate nella spazzatura. La sua demolizione ha destato “stupore” fra i leader cattolici vietnamiti, che ancora oggi non sanno i motivi alla base dell’abbattimento e gli utilizzi futuri del terreno sul quale sorgeva il monastero. Diverse proprietà ecclesiastiche sono state riconvertite a hotel e resort per turisti.
I cattolici vietnamiti non nascondo la preoccupazione per il giro di vite imposto dal governo. Da mesi la leadership comunista ha avviato una campagna contro la comunità cattolica, sequestrando beni e proprietà, diffamando sacerdoti e religiosi che si battono a protezione dell’ambiente e limitando di fatto la libertà di culto. Il 21 maggio scorso Nguyen Thanh Xuan, vice-capo del governo per gli Affari religiosi, ha confermato che “non verranno restituiti beni e proprietà alla Chiesa cattolica o altra organizzazione religiosa”. La demolizione del convento è un ulteriore segnale di allarme per la libertà religiosa in Vietnam.
La Congregazione dei Fratelli di Banam è stata fondata nel 1931 da mons. Valentin Herrgott, vicario apostolico in Cambogia. Nel 1970, dopo il colpo di Stato contro re Sihanouk e l’ascesa al potere del governo filo-occidentale guidato da Lon Nol, i responsabili hanno deciso di trasferire la sede dell’ordine nel vicino Vietnam, nella diocesi di Long Xuyen.
Nel 1984 tutti i membri dell’ordine sono stati arrestati con l’accusa di “attività contro-rivoluzionarie” e il loro convento è stato chiuso. I sacerdoti sono stati imprigionati per anni senza nemmeno un processo. Più volte la congregazione ha chiesto giustizia protestando contro l’arresto dei religiosi e chiedendo la restituzione della proprietà, senza risultato.
di J.B. An Dang
link: http://new.asianews.it/index.php?l=it&art=15453
Ho Chi Minh City (AsiaNews) – Il convento dei Fratelli della Sacra Famiglia di Banam, a Long Xuyen, è stato demolito per ordine del governo. La conferma arriva dal portavoce della diocesi di Long Xuyen – capoluogo della provincia di An Giang, nel sud del Vietnam – che parla di un “ordine improvviso” di abbattimento emesso dalle autorità locali. Una fine analoga a quella subita di recente dal monastero delle Suore di San Paolo di Chartres, a Vinh Long, provincia del delta del Mekong.
Il convento è stato costruito nel 1971 ed era ancora in buone condizioni; realizzato su una struttura a due piani, esso ospitava i sacerdoti dell’ordine della Sacra famiglia. L’altare e le statue votive sono state gettate nella spazzatura. La sua demolizione ha destato “stupore” fra i leader cattolici vietnamiti, che ancora oggi non sanno i motivi alla base dell’abbattimento e gli utilizzi futuri del terreno sul quale sorgeva il monastero. Diverse proprietà ecclesiastiche sono state riconvertite a hotel e resort per turisti.
I cattolici vietnamiti non nascondo la preoccupazione per il giro di vite imposto dal governo. Da mesi la leadership comunista ha avviato una campagna contro la comunità cattolica, sequestrando beni e proprietà, diffamando sacerdoti e religiosi che si battono a protezione dell’ambiente e limitando di fatto la libertà di culto. Il 21 maggio scorso Nguyen Thanh Xuan, vice-capo del governo per gli Affari religiosi, ha confermato che “non verranno restituiti beni e proprietà alla Chiesa cattolica o altra organizzazione religiosa”. La demolizione del convento è un ulteriore segnale di allarme per la libertà religiosa in Vietnam.
La Congregazione dei Fratelli di Banam è stata fondata nel 1931 da mons. Valentin Herrgott, vicario apostolico in Cambogia. Nel 1970, dopo il colpo di Stato contro re Sihanouk e l’ascesa al potere del governo filo-occidentale guidato da Lon Nol, i responsabili hanno deciso di trasferire la sede dell’ordine nel vicino Vietnam, nella diocesi di Long Xuyen.
Nel 1984 tutti i membri dell’ordine sono stati arrestati con l’accusa di “attività contro-rivoluzionarie” e il loro convento è stato chiuso. I sacerdoti sono stati imprigionati per anni senza nemmeno un processo. Più volte la congregazione ha chiesto giustizia protestando contro l’arresto dei religiosi e chiedendo la restituzione della proprietà, senza risultato.
di J.B. An Dang
link: http://new.asianews.it/index.php?l=it&art=15453
3 giu 2009
Tienanmen: a 20 anni dal massacro
Censura web, ma dissidenti in Rete
Per le vie di Pechino fervono già i preparativi in vista del 60esimo anniversario della nascita del Partito comunista cinese, che ricorre il primo ottobre, ma non c'è alcuna traccia del 20esimo anniversario del massacro di Piazza Tienanmen, avvenuto tra il 3 e il 4 giugno 1989. Il silenzio scelto da Pechino è assordante. Alcuni siti sono stati oscurati, ma la censura cinese non è riescita ad oltrepassare i propri confini.
Negli ultimi giorni sono infatti tornati a parlare gli eroi di quelle proteste che volevano essere pacifiche. Il più agguerrito è Wang Dan, che è stato uno dei leader studenteschi dell'Università di Pechino e uno dei 21 ex studenti "most wanted" dal regime cinese. Dopo la repressione fu incarcerato due volte per un totale di oltre quattro anni, finché riuscì a scappare in esilio negli Stati Uniti. In questi giorni ha rilasciato diverse interviste, visibili online, in cui spiega cosa fu veramente Tiananmen.
Oltre a quella di Wang, sul web si trovano molte testimonianze di ex studenti, come quella di Yang Jianli, che oggi vive a Boston, e a cui è stato negato il visto d'ingresso a Hong Kong, sua città natale. Yang voleva poi recarsi a Pechino per commemorare l'anniversario con altri attivisti. E c'è poi chi come Cui Weiping non prese direttamente parte alle proteste, ma oggi si sente in dovere di parlare perché non potrà mai dimenticare i pantaloni insanguinati del marito quando la notte di vent'anni fa tornò a casa con l'orrore negli occhi. Cui, che vive ancora a Pechino, a metà maggio aveva postato sul suo blog la domanda provocatoria: "Vogliamo continuare ad andare avanti con questo silenzio?". I censori hanno subito rimosso la frase, ma questa è riapparsa in altri siti e continua ad essere ripresa ogni volta che Pechino cerca di riportare il silenzio sulla Rete.
Il 14 aprile del 1989 oltre un milione di studenti e lavoratori si mobilitarono per dare vita alla più grande manifestazione contro il regime cinese. Il bilancio della protesta parla di sei settimane di scontri, tremila morti, migliaia di feriti e centinaia di giovani arrestati. Ma i dati non sono mai stati confermati dalle autorità. La manifestazione fu soffocata nel sangue meno di due mesi più tardi nella notte tra il 3 e il 4 giugno in Piazza Tienanmen. I carri armati entrarono nel cuore storico della capitale all'alba, seminando panico e morte. Ma ecco nel dettaglio le tappe più importanti della "primavera di Pechino".- 15 aprile: Muore l'ex capo del partito comunista e leader riformista Hu Yaobang, sospeso dalla carica nel 1987 con l'accusa di non essersi opposto abbastanza alla liberalizzazione borghese. Gli studenti gli rendono omaggio e cominciano a sfilare per Pechino fino a ritrovarsi in piazza Tiananmen. E' così che comincia la rivolta. Ma ai giovani che chiedono a gran voce democrazia, riforme, fine del nepotismo e della corruzione, i leader cinesi Deng Xiao Ping, Li Peng e Yao Yilin rispondono rifiutando il dialogo.-18-21 aprile: La rivolta si allarga. Cominciano ad arrivare a Pechino migliaia di universitari e lavoratori da tutto il paese. A gran voce chiedono più libertà e democrazia e la fine della dittatura.
22 aprile: Migliaia di studenti si riuniscono fuori del palazzo del Popolo sulla piazza di Tien an men per partecipare al servizio funebre per Hu Yaobang. Scatta l'allerta. Il governo annuncia severe ritorsioni contro i manifestanti. I giovani chiedono un incontro con Li Peng, ma il loro appello viene respinto. - 26 aprile: Il giornale di stato "Il quotidiano del popolo" pubblica un durissimo editoriale in cui si condannano le manifestazioni degli studenti e si invoca una presa di posizione chiara contro la rivolta. A ispirare l'articolo Deng Xiaoping, allora eminenza grigia del regime. E' come benzina su fuoco. - 4 maggio: Decine di migliaia di studenti in almeno cinque città chiave del paese scendono in piazza. E' la più grande manifestazione popolare in 40 anni di comunismo. L'iniziativa coincide con il 70 esimo anniversario del Movimento del 4 Maggio, un movimento culturale da sempre in prima linea per una Cina più forte. Zhao Ziyang, il capo del partito comunista, dal meeting con le banche asiatiche annuncia che la rivolta sarà sedata gradualmente. - 13 maggio: Alla vigilia della visita in Cina del leader sovietico Mikhail Gorbachev, centinaia di studenti cominciano lo sciopero della fame a tempo indeterminato su piazza Tienanmen contro il governo che rifiuta il dialogo. - 15 maggio: Comincia la visita di stato di Mikhail Gorbachev che arriva a Pechino per il primo summit sino-sovietico in 30 anni. Le proteste degli studenti costringono le autorità a cancellare la cerimonia di benvenuto su piazza Tienanmen. - 19 maggio: Zhao Ziyang si reca in piazza Tienanmen e fa appello agli studenti a cercare di trovare un compromesso. Ad accompagnarlo Li Peng e Wen Jiabao, l'attuale premier cinese. Zhao è favorevole a introdurre riforme. E rivolto alla folla dice: "Noi siamo arrivati troppo tardi". E' una delle sue ultime azioni politiche. - 20 maggio: Entra in vigore la legge marziale in numerosi distretti di Pechino e l'esercito comincia a dirigersi verso il centro della citta'. Moltissimi civili tentano di bloccare l'avanzata dei carriarmati anche innalzando barricate nelle strade. I soldati hanno ordine di non aprire il fuoco. - 24 maggio 1 giugno: La protesta continua senza che esercito o sicurezza intervengano. - 2 giugno: Gli alti ranghi del partito comunista approvano il piano per porre fine in maniera definitiva e con la forza alla rivolta. - 3 giugno: Le truppe aprono il fuoco su Tienanmen. E' un ammonimento. In serata migliaia di soldati convergono verso il centro di Pechino. La gente si riversa nelle strade per tentare di bloccarli. E' l'inizio del bagno di sangue. Tantissimi i morti e i feriti. - 4 giugno: La città è in stato di shock. I soldati aprono di nuovo il fuoco. Hanno luogo sporadiche sparatorie durante tutto il giorno. Il governo definisce l'intervento militare una grande vittoria. Da un quotidiano di stato si fa appello all'esercito a pene severe nei confronti di chi è senza legge e pianifica rivolte. Ma una servizio radiofonico in lingua inglese in onda su radio Pechino dà notizia dell'uccisione di migliaia di civili, parlando di spaventosa violazione dei diritti umani e di barbaro eccidio. Poi una precisazione delle autorita' che sostiene che nessuno è stato ucciso sulla piazza. Inizia cosi' un balletto di cifre sulle vittime: per alcuni a morire furono qualche centinaia, per altri qualche migliaia. - 5 giugno: Ore 12 del 5 giugno 1989. Un giovane, di cui non è mai stata svelata l'identità e del quale non si è mai saputa la sorte, sotto gli occhi delle telecamere di tutto il mondo, attraversa piazza Tiananmen, sfidando la colonna di carriarmati, schierati dal regime. Fotogrammi, quelli del "ribelle sconosciuto", come lo definì il Time, che fecero di colpo il giro del mondo, assurgendo a simbolo di libertà, a memoria di quei giorni drammatici, di quella primavera insanguinata. Immagini immortalate ancor oggi su manifesti e t-shirt e inserite da Wim Wenders anche in uno dei suoi film più famosi, "Fino alla Fine del Mondo", del 1991. - 9 giugno: Deng Xiaoping appare per la prima volta in pubblico dall'inizio della rivolta, lodando gli ufficiali dell'esercito per il modo in cui sono riusciti a sedare le proteste e scagliandosi contro i dimostranti che non volevano altro che rovesciare il regime comunista.
Per le vie di Pechino fervono già i preparativi in vista del 60esimo anniversario della nascita del Partito comunista cinese, che ricorre il primo ottobre, ma non c'è alcuna traccia del 20esimo anniversario del massacro di Piazza Tienanmen, avvenuto tra il 3 e il 4 giugno 1989. Il silenzio scelto da Pechino è assordante. Alcuni siti sono stati oscurati, ma la censura cinese non è riescita ad oltrepassare i propri confini.
Negli ultimi giorni sono infatti tornati a parlare gli eroi di quelle proteste che volevano essere pacifiche. Il più agguerrito è Wang Dan, che è stato uno dei leader studenteschi dell'Università di Pechino e uno dei 21 ex studenti "most wanted" dal regime cinese. Dopo la repressione fu incarcerato due volte per un totale di oltre quattro anni, finché riuscì a scappare in esilio negli Stati Uniti. In questi giorni ha rilasciato diverse interviste, visibili online, in cui spiega cosa fu veramente Tiananmen.
Oltre a quella di Wang, sul web si trovano molte testimonianze di ex studenti, come quella di Yang Jianli, che oggi vive a Boston, e a cui è stato negato il visto d'ingresso a Hong Kong, sua città natale. Yang voleva poi recarsi a Pechino per commemorare l'anniversario con altri attivisti. E c'è poi chi come Cui Weiping non prese direttamente parte alle proteste, ma oggi si sente in dovere di parlare perché non potrà mai dimenticare i pantaloni insanguinati del marito quando la notte di vent'anni fa tornò a casa con l'orrore negli occhi. Cui, che vive ancora a Pechino, a metà maggio aveva postato sul suo blog la domanda provocatoria: "Vogliamo continuare ad andare avanti con questo silenzio?". I censori hanno subito rimosso la frase, ma questa è riapparsa in altri siti e continua ad essere ripresa ogni volta che Pechino cerca di riportare il silenzio sulla Rete.
Il 14 aprile del 1989 oltre un milione di studenti e lavoratori si mobilitarono per dare vita alla più grande manifestazione contro il regime cinese. Il bilancio della protesta parla di sei settimane di scontri, tremila morti, migliaia di feriti e centinaia di giovani arrestati. Ma i dati non sono mai stati confermati dalle autorità. La manifestazione fu soffocata nel sangue meno di due mesi più tardi nella notte tra il 3 e il 4 giugno in Piazza Tienanmen. I carri armati entrarono nel cuore storico della capitale all'alba, seminando panico e morte. Ma ecco nel dettaglio le tappe più importanti della "primavera di Pechino".- 15 aprile: Muore l'ex capo del partito comunista e leader riformista Hu Yaobang, sospeso dalla carica nel 1987 con l'accusa di non essersi opposto abbastanza alla liberalizzazione borghese. Gli studenti gli rendono omaggio e cominciano a sfilare per Pechino fino a ritrovarsi in piazza Tiananmen. E' così che comincia la rivolta. Ma ai giovani che chiedono a gran voce democrazia, riforme, fine del nepotismo e della corruzione, i leader cinesi Deng Xiao Ping, Li Peng e Yao Yilin rispondono rifiutando il dialogo.-18-21 aprile: La rivolta si allarga. Cominciano ad arrivare a Pechino migliaia di universitari e lavoratori da tutto il paese. A gran voce chiedono più libertà e democrazia e la fine della dittatura.
22 aprile: Migliaia di studenti si riuniscono fuori del palazzo del Popolo sulla piazza di Tien an men per partecipare al servizio funebre per Hu Yaobang. Scatta l'allerta. Il governo annuncia severe ritorsioni contro i manifestanti. I giovani chiedono un incontro con Li Peng, ma il loro appello viene respinto. - 26 aprile: Il giornale di stato "Il quotidiano del popolo" pubblica un durissimo editoriale in cui si condannano le manifestazioni degli studenti e si invoca una presa di posizione chiara contro la rivolta. A ispirare l'articolo Deng Xiaoping, allora eminenza grigia del regime. E' come benzina su fuoco. - 4 maggio: Decine di migliaia di studenti in almeno cinque città chiave del paese scendono in piazza. E' la più grande manifestazione popolare in 40 anni di comunismo. L'iniziativa coincide con il 70 esimo anniversario del Movimento del 4 Maggio, un movimento culturale da sempre in prima linea per una Cina più forte. Zhao Ziyang, il capo del partito comunista, dal meeting con le banche asiatiche annuncia che la rivolta sarà sedata gradualmente. - 13 maggio: Alla vigilia della visita in Cina del leader sovietico Mikhail Gorbachev, centinaia di studenti cominciano lo sciopero della fame a tempo indeterminato su piazza Tienanmen contro il governo che rifiuta il dialogo. - 15 maggio: Comincia la visita di stato di Mikhail Gorbachev che arriva a Pechino per il primo summit sino-sovietico in 30 anni. Le proteste degli studenti costringono le autorità a cancellare la cerimonia di benvenuto su piazza Tienanmen. - 19 maggio: Zhao Ziyang si reca in piazza Tienanmen e fa appello agli studenti a cercare di trovare un compromesso. Ad accompagnarlo Li Peng e Wen Jiabao, l'attuale premier cinese. Zhao è favorevole a introdurre riforme. E rivolto alla folla dice: "Noi siamo arrivati troppo tardi". E' una delle sue ultime azioni politiche. - 20 maggio: Entra in vigore la legge marziale in numerosi distretti di Pechino e l'esercito comincia a dirigersi verso il centro della citta'. Moltissimi civili tentano di bloccare l'avanzata dei carriarmati anche innalzando barricate nelle strade. I soldati hanno ordine di non aprire il fuoco. - 24 maggio 1 giugno: La protesta continua senza che esercito o sicurezza intervengano. - 2 giugno: Gli alti ranghi del partito comunista approvano il piano per porre fine in maniera definitiva e con la forza alla rivolta. - 3 giugno: Le truppe aprono il fuoco su Tienanmen. E' un ammonimento. In serata migliaia di soldati convergono verso il centro di Pechino. La gente si riversa nelle strade per tentare di bloccarli. E' l'inizio del bagno di sangue. Tantissimi i morti e i feriti. - 4 giugno: La città è in stato di shock. I soldati aprono di nuovo il fuoco. Hanno luogo sporadiche sparatorie durante tutto il giorno. Il governo definisce l'intervento militare una grande vittoria. Da un quotidiano di stato si fa appello all'esercito a pene severe nei confronti di chi è senza legge e pianifica rivolte. Ma una servizio radiofonico in lingua inglese in onda su radio Pechino dà notizia dell'uccisione di migliaia di civili, parlando di spaventosa violazione dei diritti umani e di barbaro eccidio. Poi una precisazione delle autorita' che sostiene che nessuno è stato ucciso sulla piazza. Inizia cosi' un balletto di cifre sulle vittime: per alcuni a morire furono qualche centinaia, per altri qualche migliaia. - 5 giugno: Ore 12 del 5 giugno 1989. Un giovane, di cui non è mai stata svelata l'identità e del quale non si è mai saputa la sorte, sotto gli occhi delle telecamere di tutto il mondo, attraversa piazza Tiananmen, sfidando la colonna di carriarmati, schierati dal regime. Fotogrammi, quelli del "ribelle sconosciuto", come lo definì il Time, che fecero di colpo il giro del mondo, assurgendo a simbolo di libertà, a memoria di quei giorni drammatici, di quella primavera insanguinata. Immagini immortalate ancor oggi su manifesti e t-shirt e inserite da Wim Wenders anche in uno dei suoi film più famosi, "Fino alla Fine del Mondo", del 1991. - 9 giugno: Deng Xiaoping appare per la prima volta in pubblico dall'inizio della rivolta, lodando gli ufficiali dell'esercito per il modo in cui sono riusciti a sedare le proteste e scagliandosi contro i dimostranti che non volevano altro che rovesciare il regime comunista.
2 giu 2009
Per rammentare e prepararci...
Contro il premier, una trappola a orologeria
mario.sechi
Lunedì 1 Giugno 2009
Guai a chiamarlo complotto, la sola parola evoca ombre inafferrabili, mentre in questa storia le tessere del mosaico sono visibili.Il Cavaliere, Noemi, La Repubblica: sembrava un incastro perfetto fino a quando nelle rotative del giornale-partito non è rimasto impigliato un ex fidanzato molto loquace e un po’ condannato. Anno 2005, due anni e sei mesi per rapina, con la condizionale. Un fastidioso granello di sabbia è finito negli ingranaggi di una macchina collaudata che come fine ha l’abbattimento di Silvio Berlusconi e usa il gossip come nuovo mezzo di conduzione di una guerra che va avanti dal 1994, continuerà dopo le elezioni europee, punta al fallimento del G8 all’Aquila, spera nel gelo precoce in Abruzzo e prepara un autunno caldo per il governo.Flashback.Il metodo, più che collaudato, in passato ha avuto anche un discreto successo.Primo episodio: l’avviso di garanzia recapitato dalle colonne del Corriere della sera nel novembre 1994 a un Berlusconi impegnato a presiedere a Napoli un summit dell’Onu sulla criminalità. L’inchiesta per corruzione della Guardia di finanza finì nel 2001 con l’assoluzione in Cassazione del Cavaliere. Ma nel frattempo il governo era caduto e la Lega uscendo dal Polo aveva favorito il ribaltone. Secondo episodio: metà marzo del 1996, a 40 giorni dalle elezioni politiche che dovevano ribaltare il ribaltone, compare in edicola una copertina dell’Espresso, titolo “Il Polo delle vanità “, foto di Veronica Lario, Silvio Berlusconi, Cesare e Silvana Previti, Vittorio Dotti e Stefania Ariosto a bordo del veliero Barbarossa, di proprietà dell’avvocato romano. Cover profetica: sembrerebbe un attacco moralistico alla società dei ricchi e volgari, in pieno stile via Po, ma in realtà è la comparsa in scena di lì a pochi giorni del “teste Omega”, Stefania Ariosto, compagna di Dotti che, si saprà dopo, già da un anno è una fonte coperta della procura di Milano. Sulle sue rivelazioni si imbastisce il processo Sme.Ariosto racconta di serate nei circoli romani, in particolare al Canottieri Lazio di cui Previti era presidente, con mazzette di banconote che passano da un tavolo all’altro o vengono lasciate nelle toilette. Denaro che sarebbe servito a corrompere alcuni magistrati romani. Ariosto diventa l’eroina della Repubblica, la testimonial del malaffare imprenditoriale ed etico del berlusconismo. Sarà la prima a raccontare come alla corte di Silvio le donne siano “trattate come oggetti”. Risultato: le elezioni del 1996 vengono vinte da Romano Prodi, Berlusconi viene prosciolto nel 2007 dalla Corte d’appello di Milano per non avere commesso il fatto. Quanto alla mirabile teste Omega, la magistratura la dichiarerà inattendibile e i fatti dimostreranno che era lei, vittima del demone del gioco, ad avere seri problemi finanziari.Ritorno al futuro.Il metodo è lo stesso di allora. Cambia il mezzo: non più la via giudiziaria alla battaglia politica, ma lo screditamento privato, il gossip applicato alla demolizione dell’avversario. Anche qui, in realtà, la storia di Noemi ha un preludio e sempre lo stesso protagonista: La Repubblica, che un’estate fa, appena formato il governo dopo le elezioni del 13-14 aprile 2008, rispolvera il cosiddetto patto di Raiset, presunta combine imprenditoriale fra i manager della tv di stato e quelli della Mediaset. Ma il vero bersaglio è sempre il Cav e stavolta anziché di soldi si parla di veline, vallette e ministre. Nel tritacarne finisce Agostino Saccà, direttore della Rai Fiction, amico di Berlusconi. Saccà è imputato nell’inchiesta della procura di Napoli, le sue chiacchierate al telefono con il presidente del Consiglio vengono pubblicate dai giornali, La Repubblica in testa. Il Cav cerca di raccomandare qualche attrice, Saccà dice sì al telefono e poi se ne infischia. Niente di penalmente rilevante, un trattato antropologico dell’Italia (che può piacere o meno) ma l’estate si trasforma in una fornace: si vocifera dell’imminente arrivo di un’intercettazione bomba, l’arma finale, in cui perfino le ministre comparirebbero nella veste di donne oggetto. Tutto avrebbe dovuto portare alla caduta prematura del governo più forte del dopoguerra. Risultato: Saccà viene prosciolto, l’inchiesta archiviata, le intercettazioni devono essere distrutte e la bomba a orologeria smette di ticchettare. Ma solo per un po’.Campagna sporca.Il tic tac esce nuovamente dal Vesuvio poco meno di un anno dopo. A far ripartire l’ingranaggio stavolta è il combinato disposto La Repubblica-Veronica Lario. Berlusconi il 26 aprile va a una festa privata (si fa per dire) di compleanno a Casoria (Napoli), la festeggiata è la 18enne Noemi Letizia.Martedì 28 compare un articolo di cronaca sulla Repubblica (firmato da Conchita Sannino, la cronista che poi scoverà Gino Flaminio, ex fidanzato di Noemi) e sul Corriere del Mezzogiorno Noemi racconta la sua amicizia con Berlusconi e lo chiama “Papi”. Passa la mattina e anche la sera. Ma alle 22.31 la signora Lario rompe il ghiaccio e parla con l’agenzia Ansa, La Repubblica riprende e amplia con la penna di Dario Cresto-Dina. Ritorno alla guerra di Arcore. Da quell’istante s’apre un’indagine pubblica sulla famiglia Letizia e comincia il tam-tam su Berlusconi e il suo rapporto con Noemi. La caccia alla volpe è guidata dalla Repubblica che impegna le sue migliori risorse per coronare l’impresa.Quella del 28 aprile è una data da ricordare perché segna uno spartiacque nel costume politico italiano. Per la prima volta una campagna elettorale (elezioni europee il 6 e 7 giugno) assume le sembianze di una vera e propria “dirty campaign ” (campagna sporca) all’americana dove entra in scena il “lato b” della politica, il letto e il potere. L’apparato di sicurezza che dovrebbe proteggere il presidente del Consiglio (privacy compresa) si mostra debole e perforabile. Con Berlusconi non è facile, l’uomo è imprevedibile e i suoi spostamenti totalmente fuori protocollo.Nel governo c’è chi fa notare che la cosa non funziona. Un democristiano di lungo corso come il ministro Gianfranco Rotondi non ci gira intorno: “Formulo il legittimo sospetto che vi sia stato un gruppo di intelligenza che si è dato l’obiettivo di indirizzare al premier un’accusa infamante e di fare in modo che a formularla fosse la moglie” dice Rotondi. “Nei casi Montesi-Piccioni, Cossiga-Donat Cattin e Leone-Cederna si è saputo che giornali e giornalisti erano solo strumenti incolpevoli e inconsapevoli. La regia di quest’operazione è nell’ombra e non riguarda né La Repubblica né la sinistra italiana”.
Spectre o no, il Cav è sotto un fuoco pesante che punta a renderlo impresentabile, a ridicolizzarlo, a renderlo vulnerabile agli occhi della comunità internazionale che non legge la stampa italiana ma ne conosce gli echi attraverso il network di giornali che da sempre partecipa al cenacolo del gruppo Espresso (articolo a pagina 37). L’agenda politica influenza tutta la vicenda: il Pd prima con il segretario Dario Franceschini dice “tra moglie e marito non mettere il dito”, poi però legge i drammatici sondaggi per il suo partito e come in un romanzo kafkiano c’è la metamorfosi e dichiara “fareste educare i vostri figli da quest’uomo?”. È un punto di non ritorno i cui esiti sono imprevedibili.Maurizio Gasparri chiosa: “Franceschini è disperato e si attacca al gossip. È un contrattista a progetto la cui collaborazione scadrà dopo il voto delle europee”. Nonostante l’impressionante volume di fuoco, i sondaggi per ora danno il Pdl e la Lega al 50 per cento e il Pd sotto la soglia di sopravvivenza del 27.Franceschini si gioca tutto e va in scia alla campagna della Repubblica. Ma il vero obiettivo non è menomare il voto per Strasburgo. Ci sono altre scadenze, il G8 e l’emergenza terremoto in Abruzzo dove a settembre comincerà a far freddo e la sistemazione di migliaia di persone dovrà compiersi a tempo di record. Per ora il bersaglio grosso più ravvicinato è il G8 di luglio all’Aquila. Il presidente del Consiglio presiederà un vertice nel pieno di una tempesta perfetta. Basta leggere i siti web dell’antagonismo per capire che si prepara un evento ad alto voltaggio. Berlusconi è presentato dai media alla comunità internazionale come il capo di un sultanato, il tamtam in rete dei no global è fitto e le condizioni logistiche non sono le migliori.È una zona terremotata, giustamente ipersensibile, il terreno ideale per chi cerca il caos e chi vuole raccoglierne un dividendo politico. Fu al forum internazionale di Napoli che cadde il primo governo Berlusconi. La governance mondiale oggi si regge soprattutto sull’immagine, ecco perché 15 anni dopo le lancette dell’orologio tornano indietro al 1994: la trappola è tesa, si tenta il bis.
http://blog.panorama.it/italia/2009/06/01/contro-il-premier-una-trappola-a-orologeria/
mario.sechi
Lunedì 1 Giugno 2009
Guai a chiamarlo complotto, la sola parola evoca ombre inafferrabili, mentre in questa storia le tessere del mosaico sono visibili.Il Cavaliere, Noemi, La Repubblica: sembrava un incastro perfetto fino a quando nelle rotative del giornale-partito non è rimasto impigliato un ex fidanzato molto loquace e un po’ condannato. Anno 2005, due anni e sei mesi per rapina, con la condizionale. Un fastidioso granello di sabbia è finito negli ingranaggi di una macchina collaudata che come fine ha l’abbattimento di Silvio Berlusconi e usa il gossip come nuovo mezzo di conduzione di una guerra che va avanti dal 1994, continuerà dopo le elezioni europee, punta al fallimento del G8 all’Aquila, spera nel gelo precoce in Abruzzo e prepara un autunno caldo per il governo.Flashback.Il metodo, più che collaudato, in passato ha avuto anche un discreto successo.Primo episodio: l’avviso di garanzia recapitato dalle colonne del Corriere della sera nel novembre 1994 a un Berlusconi impegnato a presiedere a Napoli un summit dell’Onu sulla criminalità. L’inchiesta per corruzione della Guardia di finanza finì nel 2001 con l’assoluzione in Cassazione del Cavaliere. Ma nel frattempo il governo era caduto e la Lega uscendo dal Polo aveva favorito il ribaltone. Secondo episodio: metà marzo del 1996, a 40 giorni dalle elezioni politiche che dovevano ribaltare il ribaltone, compare in edicola una copertina dell’Espresso, titolo “Il Polo delle vanità “, foto di Veronica Lario, Silvio Berlusconi, Cesare e Silvana Previti, Vittorio Dotti e Stefania Ariosto a bordo del veliero Barbarossa, di proprietà dell’avvocato romano. Cover profetica: sembrerebbe un attacco moralistico alla società dei ricchi e volgari, in pieno stile via Po, ma in realtà è la comparsa in scena di lì a pochi giorni del “teste Omega”, Stefania Ariosto, compagna di Dotti che, si saprà dopo, già da un anno è una fonte coperta della procura di Milano. Sulle sue rivelazioni si imbastisce il processo Sme.Ariosto racconta di serate nei circoli romani, in particolare al Canottieri Lazio di cui Previti era presidente, con mazzette di banconote che passano da un tavolo all’altro o vengono lasciate nelle toilette. Denaro che sarebbe servito a corrompere alcuni magistrati romani. Ariosto diventa l’eroina della Repubblica, la testimonial del malaffare imprenditoriale ed etico del berlusconismo. Sarà la prima a raccontare come alla corte di Silvio le donne siano “trattate come oggetti”. Risultato: le elezioni del 1996 vengono vinte da Romano Prodi, Berlusconi viene prosciolto nel 2007 dalla Corte d’appello di Milano per non avere commesso il fatto. Quanto alla mirabile teste Omega, la magistratura la dichiarerà inattendibile e i fatti dimostreranno che era lei, vittima del demone del gioco, ad avere seri problemi finanziari.Ritorno al futuro.Il metodo è lo stesso di allora. Cambia il mezzo: non più la via giudiziaria alla battaglia politica, ma lo screditamento privato, il gossip applicato alla demolizione dell’avversario. Anche qui, in realtà, la storia di Noemi ha un preludio e sempre lo stesso protagonista: La Repubblica, che un’estate fa, appena formato il governo dopo le elezioni del 13-14 aprile 2008, rispolvera il cosiddetto patto di Raiset, presunta combine imprenditoriale fra i manager della tv di stato e quelli della Mediaset. Ma il vero bersaglio è sempre il Cav e stavolta anziché di soldi si parla di veline, vallette e ministre. Nel tritacarne finisce Agostino Saccà, direttore della Rai Fiction, amico di Berlusconi. Saccà è imputato nell’inchiesta della procura di Napoli, le sue chiacchierate al telefono con il presidente del Consiglio vengono pubblicate dai giornali, La Repubblica in testa. Il Cav cerca di raccomandare qualche attrice, Saccà dice sì al telefono e poi se ne infischia. Niente di penalmente rilevante, un trattato antropologico dell’Italia (che può piacere o meno) ma l’estate si trasforma in una fornace: si vocifera dell’imminente arrivo di un’intercettazione bomba, l’arma finale, in cui perfino le ministre comparirebbero nella veste di donne oggetto. Tutto avrebbe dovuto portare alla caduta prematura del governo più forte del dopoguerra. Risultato: Saccà viene prosciolto, l’inchiesta archiviata, le intercettazioni devono essere distrutte e la bomba a orologeria smette di ticchettare. Ma solo per un po’.Campagna sporca.Il tic tac esce nuovamente dal Vesuvio poco meno di un anno dopo. A far ripartire l’ingranaggio stavolta è il combinato disposto La Repubblica-Veronica Lario. Berlusconi il 26 aprile va a una festa privata (si fa per dire) di compleanno a Casoria (Napoli), la festeggiata è la 18enne Noemi Letizia.Martedì 28 compare un articolo di cronaca sulla Repubblica (firmato da Conchita Sannino, la cronista che poi scoverà Gino Flaminio, ex fidanzato di Noemi) e sul Corriere del Mezzogiorno Noemi racconta la sua amicizia con Berlusconi e lo chiama “Papi”. Passa la mattina e anche la sera. Ma alle 22.31 la signora Lario rompe il ghiaccio e parla con l’agenzia Ansa, La Repubblica riprende e amplia con la penna di Dario Cresto-Dina. Ritorno alla guerra di Arcore. Da quell’istante s’apre un’indagine pubblica sulla famiglia Letizia e comincia il tam-tam su Berlusconi e il suo rapporto con Noemi. La caccia alla volpe è guidata dalla Repubblica che impegna le sue migliori risorse per coronare l’impresa.Quella del 28 aprile è una data da ricordare perché segna uno spartiacque nel costume politico italiano. Per la prima volta una campagna elettorale (elezioni europee il 6 e 7 giugno) assume le sembianze di una vera e propria “dirty campaign ” (campagna sporca) all’americana dove entra in scena il “lato b” della politica, il letto e il potere. L’apparato di sicurezza che dovrebbe proteggere il presidente del Consiglio (privacy compresa) si mostra debole e perforabile. Con Berlusconi non è facile, l’uomo è imprevedibile e i suoi spostamenti totalmente fuori protocollo.Nel governo c’è chi fa notare che la cosa non funziona. Un democristiano di lungo corso come il ministro Gianfranco Rotondi non ci gira intorno: “Formulo il legittimo sospetto che vi sia stato un gruppo di intelligenza che si è dato l’obiettivo di indirizzare al premier un’accusa infamante e di fare in modo che a formularla fosse la moglie” dice Rotondi. “Nei casi Montesi-Piccioni, Cossiga-Donat Cattin e Leone-Cederna si è saputo che giornali e giornalisti erano solo strumenti incolpevoli e inconsapevoli. La regia di quest’operazione è nell’ombra e non riguarda né La Repubblica né la sinistra italiana”.
Spectre o no, il Cav è sotto un fuoco pesante che punta a renderlo impresentabile, a ridicolizzarlo, a renderlo vulnerabile agli occhi della comunità internazionale che non legge la stampa italiana ma ne conosce gli echi attraverso il network di giornali che da sempre partecipa al cenacolo del gruppo Espresso (articolo a pagina 37). L’agenda politica influenza tutta la vicenda: il Pd prima con il segretario Dario Franceschini dice “tra moglie e marito non mettere il dito”, poi però legge i drammatici sondaggi per il suo partito e come in un romanzo kafkiano c’è la metamorfosi e dichiara “fareste educare i vostri figli da quest’uomo?”. È un punto di non ritorno i cui esiti sono imprevedibili.Maurizio Gasparri chiosa: “Franceschini è disperato e si attacca al gossip. È un contrattista a progetto la cui collaborazione scadrà dopo il voto delle europee”. Nonostante l’impressionante volume di fuoco, i sondaggi per ora danno il Pdl e la Lega al 50 per cento e il Pd sotto la soglia di sopravvivenza del 27.Franceschini si gioca tutto e va in scia alla campagna della Repubblica. Ma il vero obiettivo non è menomare il voto per Strasburgo. Ci sono altre scadenze, il G8 e l’emergenza terremoto in Abruzzo dove a settembre comincerà a far freddo e la sistemazione di migliaia di persone dovrà compiersi a tempo di record. Per ora il bersaglio grosso più ravvicinato è il G8 di luglio all’Aquila. Il presidente del Consiglio presiederà un vertice nel pieno di una tempesta perfetta. Basta leggere i siti web dell’antagonismo per capire che si prepara un evento ad alto voltaggio. Berlusconi è presentato dai media alla comunità internazionale come il capo di un sultanato, il tamtam in rete dei no global è fitto e le condizioni logistiche non sono le migliori.È una zona terremotata, giustamente ipersensibile, il terreno ideale per chi cerca il caos e chi vuole raccoglierne un dividendo politico. Fu al forum internazionale di Napoli che cadde il primo governo Berlusconi. La governance mondiale oggi si regge soprattutto sull’immagine, ecco perché 15 anni dopo le lancette dell’orologio tornano indietro al 1994: la trappola è tesa, si tenta il bis.
http://blog.panorama.it/italia/2009/06/01/contro-il-premier-una-trappola-a-orologeria/
1 giu 2009
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